Sarà una grande vittoria degli animalisti, ma c’è anche un elemento di orgoglio catalano: Barcellona si prepara a dire no a quella che è la più celebre tradizione spagnola, la corrida. La questione è stata portata davanti al Parlamento autonomo di Catalogna, ed è attivamente sostenuta dalla Piattaforma Prou (Basta, in catalano), appoggiata dall’80% dell’opinione pubblica regionale, e da oltre ottanta municipi.
Le Fiestas taurinas – che naturalmente sono una festa per tutti, tranne che per i tori – rappresentano da tempo un problema etico-culturale per molti spagnoli, che le considerano degli spettacoli crudeli, barbari, indegni di una nazione civile. In Catalogna sono considerati anche un simbolo della colonizzazione spagnola. A contrastare queste posizioni si schiera il mondo degli “aficionados”, i tifosi delle corride, che riempiono le arene, e fanno echeggiare i loro “olé” per salutare le “veronicas”, le “chicuelinas”, le “manoletinas” del torero di turno. In realtà, ribattono gli abolizionisti, è uno spettacolo soprattutto per turisti.
Ci si chiede che cosa direbbe di queste polemiche Ernest Hemingway, dato che lo scrittore americano era stato certamente il più efficace propagandista della tauromachia su scala mondiale: ricordiamo il suo “Fiesta”, ambientato nelle corride delle San Ferminas di Pamplona, “Morte nel pomeriggio”, e altri scritti taurini del grande Hem. Certo, secondo alcuni suoi amici lo scrittore esaltava le corride per una sorta di puntiglio virilista. Ma anche il catalano Pablo Picasso aveva mostrato una indubbia attrazione per lo spettacolo delle arene. Spettacolo che potrebbe risalire a tempi molto antichi, a riti sacrificali simili a quelli esistenti, ad esempio, nella Creta minoica. Ma oggi? Lo scrittore francese Raymond Queneau disse una volta che l’unico modo decente di assistere una corrida è quello di parteggiare per il toro. No comment.
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