Monsieur le Président si esprime spesso in un francese che non si addice al suo rango. E questo non è dovuto al fatto che Sarkò sia il figlio di un immigrato ungherese: infatti non solo ha seguito ottimi studi universitari, diventando un brillante avvocato d’affari prima di entrare nell’agone politico, ma è cresciuto nell’aristocratico quartiere parigino del Parc Monceau, ed è stato sindaco di Neuilly, sobborgo della capitale residenza dell’alta borghesia.
E allora qual è il problema? I pareri a questo proposito sono divisi. Rispondendo a una lettera ufficiale del deputato socialista François Loncle che gli chiedeva “quali disposizioni il ministro intendesse prendere per porre immediatamente rimedio agli errori di linguaggio del Presidente”, Luc Chatel, ministro dell’Educazione, ha ribattuto che “il Presidente della Repubblica parla in modo chiaro e veritiero, rifiutando uno stile pomposo e le circonvoluzioni sintattiche che confondono il cittadino. Giudicarlo con severità da purista significa ignorare il suo senso della prossimità”.
Il fatto è che Sarkozy ama esprimersi in una forma colloquiale che ignora le regole grammaticali, tagliando le frasi nell’uso della negazione, e spingendosi a formule nettamente volgari, come il famoso “Casse-toi, pov’con”, cioè “Sparisci, povero coglione”. E’ giusto ricordare che questo è il francese parlato abitualmente (compresi gli insulti) da milioni di parigini, ma al Presidente è lecito indulgere a tale rilassatezza del linguaggio? Jean Véronis, insigne linguista che ha dedicato un libro all’argomento, ritiene che Sarkozy cerchi di trarre un vantaggio di segno populista da una sua propensione naturale.
Insomma, un Presidente che “parla come mangia” per essere più vicino ai cittadini. E Véronis commenta: “Parlano meglio di lui”.
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