Pubblichiamo alcuni stralci della relazione sull’attività svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato in missioni all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all’esposizione a fattori chimici, tossici e radiologici con particolare attenzione agli effetti nell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico
È diventato il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: un pezzo di terra del nostro Paese, di rara bellezza, che a Capo Teulada l’uomo ha dovuto vietare all’uomo; quella Penisola Delta utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi (dal 2009 al 2013 circa 24.000 tra artiglieria pesante, missili, razzi), quella penisola permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi.
Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: 30.000 crateri sino a 19-20 metri di diametro. Sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo. A Foxi, frazione del Comune di Sant’Anna Arresi, in prossimità delle esercitazioni militari con impiego di mezzi corazzati e con attività a fuoco comprendenti missili con raggi a lunga gittata, nel periodo 2000-2013, si registra un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache. E in altre aree collocate in prossimità del poligono, quali Sa Portedda e Gutturu Saidu, si rilevano eccessi per patologie respiratorie e digerenti, del sistema urinario e tumorali.
Un decreto del Ministro della Difesa del 22 ottobre 2009 impose la bonifica, ma l’area continuò a essere il bersaglio delle esercitazioni.
Non stupiscono, a questo punto, le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari per il delitto di disastro doloso in seguito alla “presentazione di denunce da parte di cittadini di Teulada o di Sant’Anna Arresi, che segnalavano che alcuni congiunti o loro stessi avevano contratto delle gravi patologie tumorali e assumevano che ciò fosse accaduto a seguito dell’essere entrati in contatto con contaminanti diffusi dalle attività di esercitazione che si svolgevano nel poligono di Capo Teulada”. Un disastro che coinvolge il Poligono Delta e il prospiciente specchio acqueo, e che risulta causato da esercitazioni militari addirittura incrementate dopo e in violazione del decreto ministeriale del 2009. Un disastro che non sorprende se solo si riflette sulle regole adottate dall’Amministrazione della Difesa in tema di bonifica del Poligono Delta all’insegna di una deludente “convenienza”:
1) Norme per l'utilizzazione del Poligono di Capo Teulada (approvate l’11 agosto 1987 dal Capo di Stato Maggiore della Difesa) - “Il poligono "D" (penisola di Capo Teulada) è permanentemente interdetto al movimento di uomini e mezzi. Esso, infatti, viene utilizzato esclusivamente come zona di arrivo dei colpi (proiettili, razze e bombe) e su di esso non vengono mai svolte operazioni di bonifica”.
2) Disciplinare per la tutela ambientale del Poligono di Capo Teulada (approvato il 12 maggio 2008 dal Generale Comandante del Comando Militare Autonomo della Sardegna) - “Poligono "D" - È situato a sud ed è costituito dalla penisola di Capo Teulada, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica”.
3) Norme per l'utilizzazione del Poligono permanente di Capo Teulada (approvate il 30 marzo 2010 dal Generale comandante del Comando militare autonomo della Sardegna) - “Poligono "D" - E’ situato a sud ed è costituito dalla penisola promontorio di Capo Teulada, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica. […]
L’omessa bonifica per ragioni di “convenienza”, il prosieguo delle esercitazioni, è una scelta strategica che stona a fronte del crescente e assordante allarme prodotto dalla penisola interdetta tra cittadini e Istituzioni, e che torna nell’audizione del 5 ottobre 2017 del Sostituto Procuratore della Repubblica di Cagliari Dott. Emanuele Secci. […]
“Da quello che ho appreso, in altre realtà, quando ci si è avveduti che una zona era contaminata a seguito delle esercitazioni, l’attività è stata dismessa, anche per non esporre il personale che lì si esercita a ulteriori rischi”. “È un decreto ministeriale che dal 2009 obbliga le Amministrazioni militari, quando effettuano esercitazioni, a ripulire ciò che sporcano”. “Non è prevista nessuna eccezione del tipo «fatti salvi i poligoni che hanno una penisola interdetta, ai quali non si applica questa norma»”.
Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una “penisola interdetta”: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’Autorità militare, senza interlocuzioni con l’Amministrazione dell’ambiente, con la Regione e con le Autonomie Locali.
Con la deliberazione del 30 giugno 2015, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 160 del 13 luglio 2015, la Camera dei Deputati ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni.
La Commissione è la quarta costituita nella storia del Parlamento italiano per indagare sulle complesse questioni che concernono l’utilizzo dell’uranio impoverito da parte delle nostre Forze armate, nonché, nel caso specifico della XVII legislatura, su un ampio spettro di fattori patogeni a esso correlati e incidenti sia sulla salute dei militari, sia quella dei dipendenti civili dell’Amministrazione della Difesa e delle popolazioni residenti nei territori su cui insistono i poligoni e le installazioni militari nel nostro Paese. […]
La prima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito fu istituita nella XIV Legislatura al Senato, riprendendo i temi oggetto di un’indagine conoscitiva sulla prevenzione dei rischi e sulle condizioni di sicurezza dei militari italiani impegnati nei Balcani, deliberata nella fase conclusiva della XIII Legislatura dalla Commissione Difesa della Camera dei deputati. Una parallela indagine conoscitiva era stata altresì autorizzata nello stesso gennaio del 2001 al Senato della Repubblica […]
La relazione conclusiva di questa prima inchiesta sull’uranio impoverito, approvata il 1° marzo 2006, mise in luce diverse criticità, ma soprattutto accertò l’esigenza di estendere l’ambito delle indagini al personale italiano impiegato nelle missioni all’estero, non esclusivamente nei Balcani, ai poligoni di tiro, ai siti di stoccaggio dei munizionamenti e ai rischi di esposizione a fattori patogeni di varia natura per le popolazioni civili residenti nei teatri di confitto e nelle zone adiacenti gli insediamenti militari sul territorio nazionale, dedicando una particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Questo medesimo ambito di indagine, esteso precisamente in questi termini, ha successivamente costituito l’oggetto della seconda Commissione di inchiesta sull’uranio impoverito, […] presieduta dalla senatrice Lidia Brisca Menapace […]
Segnatamente spicca, fra i principi enunciati nelle conclusioni della Commissione Menapace, il criterio probabilistico, in base al quale, con riferimento alle patologie per le quali si ipotizzava la riconducibilità all’esposizione all’uranio impoverito, non si poteva né affermare né negare con certezza, in relazione ai risultati conseguiti dalla ricerca scientifica, un nesso direttamente causale tra l’esposizione e l’insorgere della patologia. Pertanto nelle sue conclusioni la Commissione optava per l’applicazione, in luogo di tale nesso causale, di un principio di probabilità di causa, da adottare, con riferimento all’indennizzabilità di patologie gravemente invalidanti o mortali contratte dal personale militare, sia in missioni fuori area sia in patria, nel procedimento amministrativo di accertamento di tali patologie e di attribuzione dei relativi benefici.
Attraverso questi passaggi pregressi si giunse, nella XVI Legislatura, all’istituzione della terza Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito […] Sin dall’inizio della sua attività, la Commissione Costa, nel far proprio il principio della probabilità di causa enunciato dalla precedente Commissione Menapace, ebbe modo di constatare come sia la normativa vigente sia le modalità di applicazione della stessa da parte delle amministrazioni interessate risultassero lacunose e incongruenti sotto tale rispetto. […]
Nell’esaminare i documenti prodotti dal ministero della Difesa e da altri soggetti, nonché le conclusioni della Commissione Mandelli e del progetto Signum, oltre che dalle risultanze delle audizioni svolte, la Commissione Costa ebbe la conferma che le conoscenze scientifiche non consentivano di affermare con certezza il ruolo causale di tutti i fattori di rischio presi in esame (tra cui l’esposizione all’uranio impoverito) rispetto agli effetti denunciati, ma, al tempo stesso, non consentivano di escludere che una concomitante ed interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi potesse essere alla base delle patologie e dei decessi osservati.
Raccomandava pertanto in primo luogo alle Amministrazioni chiamate ad assicurare l’osservanza delle norme in materia di tutela della salute del personale militare e civile di adottare il basilare principio di precauzione, alla luce del quale devono essere evitate e inibite quelle attività che comportino il verificarsi di situazioni di rischio di natura chimica, fisica o biologica non controllabili con misure di contenimento o minimizzazione alla fonte, ovvero “non suscettibili di poter essere contenute o rapidamente risanate per quanto riguarda l’impatto ambientale, le implicazioni sulla catena alimentare, gli effetti di esposizione sull’uomo anche con l’impiego di mezzi di protezione individuale”. Conseguentemente, le medesime Amministrazioni non avrebbero dovuto autorizzare operazioni da parte del personale senza l’impiego delle misure organizzative, delle procedure o istruzioni operative per la sicurezza (tra cui in particolare i dispositivi di protezione individuale – Dpi).
Sul fronte dei vaccini e dei rischi legati ad una loro somministrazione incontrollata, le conclusioni della Commissione Costa segnalavano invece la necessità che ogni attività di somministrazione di farmaci, vaccini, antidoti dovesse essere effettuata tenendo conto della particolare situazione individuale del destinatario, in relazione a specifiche indicazioni cliniche, previa puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica per il tipo di somministrazione da effettuare, nonché previa acquisizione del consenso informato, con illustrazione puntuale degli effetti e dei rischi legati all’intervento stesso, nel rigoroso rispetto dei protocolli e dei calendari previsti. […]
Alla luce di quanto detto sinora, è pertanto possibile osservare come, pur nella successione delle diverse legislature e nel progressivo ampliamento dell’oggetto dell’inchiesta, le relazioni conclusive delle tre Commissioni parlamentari di inchiesta sull’uranio impoverito attestino una sostanziale continuità di valutazioni e di contenuti, nonché un analogo approccio metodologico, tale da poter essere considerate parte di un’unica indagine sviluppatasi nell’arco di tre legislature. […]
Nel settore primario della sicurezza e della salute sul lavoro, la Commissione d’inchiesta, grazie alle penetranti metodologie investigative adottate, ha scoperto - dietro le rassicuranti dichiarazioni rese dai vertici dell’Amministrazione della Difesa e malgrado gli assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di governo pur esplicitamente sollecitate - le sconvolgenti criticità che in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie tra i lavoratori militari del nostro Paese.[…]
È allarmante, peraltro, che, tra l’indifferenza delle Autorità competenti, in materia di patologie occorse a militari o a cittadini residenti nei pressi di siti militari - ivi compresi gli stessi mesoteliomi da amianto o i tumori polmonari da radon - i procedimenti per reati quali l’omicidio colposo o le lesioni personali colpose nemmeno vengano avviati, ovvero si sviluppino con una tale lentezza o senza gli indispensabili approfondimenti, con la conseguenza che si concludono con il proscioglimento nel merito o per prescrizione del reato.
Il risultato è devastante. Nell’Amministrazione della Difesa continua a diffondersi un senso d’impunità quanto mai deleterio per il futuro, l’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che si potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità. E quel che è ancora peggio, dilaga tra le vittime e i loro parenti un altrettanto sconfortante senso di giustizia negata, proclamato in accorate audizioni davanti alla Commissione d’inchiesta.
[…] in data 15 ottobre 2017 la Commissione ha trasmesso la Relazione sull’attività d’inchiesta in materia di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale nelle forze armate: criticità e proposte al Ministro della Giustizia, richiamando alla sua attenzione “le osservazioni svolte in ordine alla istituzione, nel settore delle morti causate dal lavoro e dall'ambiente, di una Procura della Repubblica nazionale, anche al fine di soddisfare l'esigenza, reiteratamente sottolineata davanti a questa Commissione da militari ammalatisi e da congiunti di militari deceduti, di interventi organici e sistematici della magistratura penale a tutela della salute e della sicurezza del personale della Difesa”.
Le criticità sono, e continueranno a essere, alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme e da prassi adeguate. Restano immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale dell’Amministrazione della Difesa in una categoria di lavoratori deboli. Quelle scelte strategiche che per giunta umiliano i militari ammalati o morti per la mortificante sproporzione tra la dedizione dimostrata in attività altamente pericolose e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi. […]
“I dati di sorveglianza riportati non supportano l'ipotesi che esista un problema di maggiore incidenza di neoplasie tra il personale militare, né che la partecipazione a missioni OFCN rappresenti un rischio specifico per l'insorgenza di neoplasie”. È la dirompente conclusione esposta dal Direttore dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa Col. Claudio De Angelis nel corso della sua audizione in data 7 aprile 2016.
Successivamente, la Commissione ha approfondito le indagini. Ed è giunta, in particolare, a accertare, su dati forniti dalla Procura della Repubblica di Padova, che solo nell’ambito della Marina Militare 1101 persone risultano decedute o ammalate per patologie asbesto-correlate (circa 570 i mesoteliomi); e da una relazione tecnica del Direttore del Renam Alessandro Marinaccio trasmessa in data 29 gennaio 2018 dal Presidente dell’Inail Massimo De Felice, ha desunto che, nell’ambito dei Corpi militari, “sono stati identificati 830 casi di mesotelioma maligno con esposizione in tale settore”. Là dove il Direttore dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa aveva riferito alla Commissione che tra i militari di tutte le Forze Armate 107 erano i casi di mesotelioma, diventati 126 a un successivo esame testimoniale dello stesso Col. De Angelis in data 7 febbraio 2017.
Perché questa stupefacente differenza di dati? […]
Un costante atteggiamento dei vertici inteso a fornire una visione esasperatamente ottimistica del mondo militare della sicurezza: sia sotto il profilo dei rischi, sia sotto il profilo della prevenzione, sia sotto il profilo della vigilanza “domestica”, presentata addirittura come “un esempio virtuoso”. Un atteggiamento che si è poi convertito per forza di cose in dichiarazioni di stupore nelle ipotesi in cui la Commissione ha contestato i risultati dei propri accertamenti […]
Occorre notare più con rammarico che con soddisfazione l’effetto indotto dalle attività della Commissione, riconducibile nel quadro di una “strategia della deterrenza”. Anche perché la Commissione non è destinata a funzionare in eterno al fine di garantire la legalità nel mondo militare della sicurezza. […]
Al fine di recuperare il mondo militare a una dimensione effettivamente ispirata ai valori costituzionalmente protetti della sicurezza e della salute, la Commissione d’inchiesta avanza una serie di proposte fondamentalmente preordinate a bloccare gli effetti distorsivi prodotti dai meccanismi descritti […].
Basilare sarebbe, anzitutto, l’approvazione della proposta di legge Scanu A.C. 3925, firmata dalla quasi totalità dei componenti della Commissione, più che mai indispensabile al fine di garantire un’effettiva prevenzione contro i rischi incombenti su militari e cittadini. Come si desume dettagliatamente dalla relazione illustrativa della proposta, le norme ivi contenute mirano proprio a liberare il mondo militare della sicurezza sul lavoro dai meccanismi procedurali ed organizzativi che precludono un’effettiva tutela. […] Resta fermo l’auspicio che, al fine di evitare inammissibili disparità di trattamento, analogamente si provveda per le Forze di polizia e per il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.
L’approvazione della proposta di legge AC 3925 è indispensabile, ma non ancora sufficiente, per smontare i meccanismi procedurali ed organizzativi che valgono ad oscurare nell’universo militare rischi temibili e responsabilità effettive.
Altre misure appaiono necessarie alla luce degli accertamenti condotti dalla Commissione. E la prima è l’organizzazione di servizi ispettivi, non solo terzi, alla stregua della proposta di legge AC 3925, ma anche efficienti e preparati. […]
Si è sottolineato in precedenza che non appaiono sistematici gli interventi della magistratura penale a tutela della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa. […]
Sarebbe il momento di passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo costruire una nuova organizzazione nei settori delle morti e dei disastri causati dagli ambienti di vita o di lavoro, una Procura nazionale, o quantomeno un’Agenzia nazionale, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il Paese, sul modello dei pôles de santé publique francesi. […]
La delibera della Camera dei Deputati 30 giugno 2015, che ha istituito la Commissione d’inchiesta sugli effetti derivanti dall’utilizzazione dell’uranio impoverito ha definito all’articolo 1, comma 1, le materie oggetto dell’indagine, indicando, alla lettera a), i “casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui sono depositati munizionamenti, anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili riferiti alle popolazioni civili nelle zone di conflitto e nelle zone adiacenti alle basi militari nel territorio nazionale in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici o radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni”. […]
Diversamente dalle precedenti legislature, la Commissione si è avvalsa in numerosi casi dei poteri dell’Autorità giudiziaria, di cui all’articolo 82 della Costituzione, ascoltando come testi, con il relativo obbligo di deporre e di rispondere, secondo verità, alle domande poste, i soggetti ritenuti informati di fatti rilevanti ai fini dello svolgimento dell’inchiesta nell’ambito degli accertamenti finalizzati a valutare l’esistenza e la portata del rischio lavorativo a carico del personale civile e militare impiegato nei poligoni militari. Questo procedimento è stato adottato, in particolare, per il personale in servizio investito dall'Amministrazione militare di compiti specificamente concernenti la sicurezza sui luoghi di lavoro. […]
Per quanto riguarda le politiche di prevenzione e protezione e per la sicurezza del personale addetto ai poligoni di tiro, una rilevante criticità è emersa relativamente alla valutazione dei rischi. Secondo la normativa vigente, tale compito spetta al datore di lavoro, nel caso di specie individuato nel comandante della struttura […], e non può essere delegato ad altri soggetti.
[…] la Commissione ha preso atto di una generale criticità, riconducibile a una condizione obiettiva, nella quale la valutazione dei rischi lavorativi effettuata nei poligoni di tiro a cura degli organi competenti è risultata mancante, in alcuni casi, e lacunosa, nella maggior parte delle realtà esaminate, nonché a un profilo soggettivo, riscontrabile nella persistenza, da parte dei responsabili delle Forze Armate, di un’interpretazione della normativa vigente (sia quella di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, sia quella di cui al Titolo IV, Capo I, Sicurezza sui luoghi di lavoro, del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), accreditata in taluni casi anche da documenti e dichiarazioni ufficiali, tendente a ridimensionare e ad assoggettare a deroghe e condizioni la portata dell’obbligo di valutazione dei rischi, appellandosi alla specificità dell’attività svolta per motivarne il mancato o parziale adempimento
Un elemento importante di novità progressivamente emerso nel corso di un’inchiesta parlamentare protrattasi per più legislature è consistito nella comprensione che il tema dell’uranio impoverito e della sua nocività, con riferimento alla specifica realtà italiana, potesse essere collocato nella sua giusta rilevanza solo se preso in considerazione come aspetto di una questione più generale, che riguarda l’esposizione del personale militare a tutti i fattori di rischio lavorativo presenti nel mondo civile, oltre a quelli propri della specificità della funzione, nonché la mancata o parziale applicazione al personale delle Forze Armate della disciplina generale di sicurezza e protezione del lavoro […]
Solo inquadrato in tale contesto, il rischio derivante dall’esposizione all’uranio impoverito e dagli effetti prodotti dal suo impiego militare assume un significato più pregnante, esemplificativo non tanto di un episodio specifico e circoscritto di mancata protezione rispetto a un agente tossico, quanto di uno dei tanti casi in cui, a fronte di una pluralità di situazioni di rischio note, sia nelle missioni di pace sia sul territorio nazionale il personale militare si è trovato in condizioni di non protezione o comunque di protezione ridotta rispetto a quella di cui avrebbe goduto un lavoratore civile nella medesima posizione e con le stesse mansioni. […]
Ambizioso appare l’obiettivo che la Commissione si è proposta di raggiungere: quello di essere, non solo la quarta, ma soprattutto l’ultima Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Perché una quarta Commissione d’inchiesta? Perché le tre Commissioni precedenti ebbero il merito di individuare le criticità e di proporre un ampio ventaglio di indicazioni e proposte volte a eliminare queste criticità. Ciò malgrado, queste criticità non solo non sono state eliminate, ma sotto alcuni aspetti si sono persino aggravate. Con la proposta di legge AC 3925, si sono accese grandi speranze […]
È riuscita la quarta Commissione d’inchiesta nel proprio intento?
Il suo bilancio è altamente positivo, in particolare sotto tre profili. Un primo profilo concerne la tutela ambientale nei poligoni di tiro nazionali, sollecitata dalle apposite modifiche normative introdotte nell’ambito della legge di bilancio per il triennio 2018-2020 in seguito a un’apposita proposta di legge preparata dalla Commissione.
In secondo luogo, grazie a una molteplicità di accertamenti mirati (sia esami testimoniali, sia richieste di documentazioni), si è oggettivamente ottenuto un risultato non perseguito, ma quanto mai gradito: e, cioè, in più casi la scomparsa come d’incanto di comportamenti o situazioni contrastanti con le norme vigenti in materia di sicurezza del lavoro. […]
Ma è soprattutto il terzo profilo che deve essere ascritto a merito della quarta Commissione. Mai come questa volta il mondo militare della sicurezza è stato scandagliato in ogni sua piega anche più riposta, mai come questa volta l’inchiesta non si è fermata al rilievo di questa o quella carenza occasionale o episodica, e si è addentrata nell’oscuro groviglio delle scelte strategiche di fondo. […]. Ecco perché la Commissione d’inchiesta ha pienamente assolto al proprio mandato. Infatti, ha avanzato una ricca gamma di proposte normative, organizzative, procedurali atte a completare l’opera di tutela dei lavoratori militari sotto i profili della sicurezza sul lavoro e della tutela previdenziale. […]
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