L’interferenza digitale ha cambiato giovani, famiglie e tecniche
d’indagine. Occhi puntati sugli adolescenti che non trasgredisono
e che non tollerano quote di delusione
Il bullismo di questi tempi si manifesta anche inseguendo la popolarità in rete se è vero che tutte le azioni o quasi vengono compiute per poi essere postate sui social. I giovani, e non solo chi si macchia di bullismo, si sovraespongono in rete per ottenere like secondo il principio che è meglio la popolarità alla trasparenza. E la popolarità si può raggiungere anche con la violenza.
E’ l’opinione di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, che, intervenendo al seminario organizzato dal Siulp di Bologna su “Devianze e dipendenze nel complesso mondo degli adolescenti nell’era digitale”, ha tratteggiato la difficile condizioni dei più giovani al tempo di Internet.
Gli adolescenti - ha spiegato il docente di Psicologia all’Università di Milano Bicocca - sono cambiati e occorre che gli adulti adeguino i propri comportamenti a questo mutamento, a partire dalla famiglia che deve prediligere l’affettività all’essere normativa, cioé a dettare regole e leggi. Al giorno d’oggi, gli adolescenti non trasgrediscono né tollerano quote di delusione: a essere sbagliati sono i modelli genitoriali che “adultizzano” l’infanzia creando ai giovanissimi un disagio che, anziché esprimersi al di fuori del mondo familiare, finisce per avere se stesso quale obiettivo. Il pericolo è che i ragazzi non riescano a chiedere aiuto a genitori e insegnanti con il rischio che siano poi gli psicologi a dover intervenire.
“Ci vuole - ha aggiunto il docente - una prevenzione del consumo tecnologico”. Non si può dare a un bambino di 6 anni un cellulare per quietare le preoccupazioni genitoriali e poi, non appena raggiunta la scuola media, accusarlo di stare sempre col telefono in mano o, peggio, avere quale esempio un padre, una madre o tutti e due che passano la propria giornata chattando e telefonando.
A parere di Silvia Marzocchi, Procuratore capo presso il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna, ci troviamo anche a che fare con giovani che appaiono inconsapevoli delle azioni che compiono e delle ricadute che possono avere nel momento in cui incappano nelle maglie della Giustizia. Parlando di stupefacenti la Marzocchi ha chiarito che l'interferenza digitale ha cambiato il metodo d'indagine che ora predilige WhatsApp, per cui i giovani, scambiandosi messaggini, corrono il rischio di incorrere nell'accesso di favoreggiamento se parlano anche implicitamente di cessione di droga e non rivelano circostanze utili alle indagini. “Ma questo loro non lo sanno anche perché gli adulti non l'hanno loro spiegato”. E ha osservato: “Quando si parla di uso consentito non è che si intenda anche permesso di coltivare”.
Parte della sua relazione, dedicata a: “Il ruolo del Pm minorile, esigenze di tutela dei minori e rapporti con i mass media” il Procuratore l'ha centrata sui reati compiuti attraverso Internet. Se due giovani decidono di fotografarsi o di farsi un filmino in atteggiamenti intimi non si commette reato fintantoché le immagini restano sul telefono di chi le ha fatte. Ma se video e foto cominciano a girare non si può che far riferimento al reato di pedopornografia minorile, un reato che “mira a reprimere l'uso di foto e video da parte di persone pedofile in rete”. I minori - ha aggiunto il magistrato - devono conoscere il rischio che corrono”.
Silvia Marzocchi ne ha avute anche per i giornalisti che devono conciliare il diritto di informazione con la tutela del minore alla riservatezza. “C'è in ballo il diritto a un corretto sviluppo del minore e quindi bisogna evitare qualsiasi elemento che consenta di risalire alla persona”.
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