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Dicembre/2004 - La 'nera' al microscopio
Ipotesi sul delitto Cesaroni
di a cura di Paolo Andruccioli

L’avvocato Nino Marazzita ci spiega le incongruenze che sono state riscontrate nella prima fase delle indagini. E come si riapre il caso. Forse Simonetta Cesaroni è stata testimone di qualcosa di grosso


Parliamo con l’avvocato Nino Marazzita di casi di cronaca risolti e non risolti. Adesso torna per esempio di attualità un vecchio caso, che fa discutere da tanti anni, quello di via Poma e dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Ci sono ipotesi nuove?

Sì, ci sono nuove ipotesi perché sono state rinvenute delle macchie di sangue, anzi, per la precisione, è stata rinvenuta una macchia di sangue nel lavatoio dello stabile di via Poma. Ricordiamo che l’omicidio è avvenuto nell’agosto del ’90, quindi sono trascorsi 14 anni, in uno stabile molto grande. Pare ci siano infatti circa 1000 stanze e questo è un fatto che ha reso e renderà più difficili le indagini perché si tratta di un luogo enorme. Oggi c’è questa novità della macchia di sangue nel lavatoio, poi ci sono anche altre novità, nel senso che è venuto fuori un libro del datore di lavoro della Cesaroni nel quale si parla di una relazione amorosa che la ragazza avrebbe avuto all’epoca.
Faccio in proposito un’osservazione: come mai il datore di lavoro, che in questi anni è stato sentito dalla magistratura e che è stato forse anche indagato, (non ricordo esattamente, però è stato sicuramente sentito dagli investigatori) non ha sentito il bisogno di scrivere prima il suo libro? Perché questo elemento nuovo che dice di essere così importante non l’ha detto prima e lo dice a distanza di 14 anni in un libro?
Poi, che cosa si sta facendo d’altro? Si stanno riscoprendo degli oggetti, sui quali si rileva qualche macchia che potrebbe essere macchia di sangue o di altro. E questo perché? Perché è evidente che la tecnica sulla marcatura del Dna, oggi è una tecnica più giovane, più nuova di 14 anni; in questi ultimi anni sono stati fatti passi enormi dal punto di vista scientifico.
Oggi c’è una possibilità molto sofisticata di accertamento, la marcatura del Dna è in grado di rilevare, per esempio, su una macchia sbiadita, vecchia di 14 anni, il codice genetico. Gli strumenti a disposizione sono notevolmente migliori, più sofisticati, possono andare più a fondo, quindi ben venga questa nuova inchiesta.
Questa nuova inchiesta supplisce ad una precedente che è stata comunque difficile. Stabilire la verità su un delitto come quello di Simonetta Cesaroni non è un compito facile, è un compito estremamente difficile. Questo in particolare su quell’omicidio, ma anche in generale.
In Italia c’è purtroppo un’abitudine terrificante: quando accade un fatto come quello della Cesaroni, o come il delitto dell’Olgiata, o come tanti altri delitti che sono rimasti insoluti, non c’è l’abitudine, come dicono gli esperti di criminologia, a congelare il teatro del delitto; cioè a dire, deve essere completamente ibernato il luogo dove si è svolto il delitto, immediatamente, subito. Invece c’è l’abitudine opposta di fare arrivare Polizia, Carabinieri, investigatori, curiosi, parenti, amici e così via, per cui si inquina il luogo che, come dicevo prima, si usa chiamare il teatro del delitto.
Vorrei ricordare qui un altro episodio. Ricordo che durante il caso Moro, via Fani non venne chiusa e ci fu il procuratore capo di Roma dell’epoca, il quale stava calpestando con un piede un bossolo, e il sostituto procuratore delegato all’inchiesta che era con lui, lo ha fermato dicendo: “Stia attento che sta mettendo il piede su un bossolo”.
Con questo voglio dire che manca una cultura che c’è, per esempio, in Inghilterra, dove immediatamente dopo un omicidio o un incidente è la prima cosa che si fa: addirittura se arrivano curiosi, persone, ecc. prima della Polizia, sono loro stessi che capiscono che non si devono avvicinare. L’inquinamento del luogo del reato è un fatto grave, perché rischia di influenzare le indagini. La prova generica consiste in quei paletti indispensabili per costruire un’indagine: l’autopsia, l’epoca della morte, la rilevazione delle impronte digitali, la rilevazione delle impronte di sangue o di altro, elementi tutti utili per poter arrivare alla responsabilità di un assassino, in questo caso. Quindi, l’inchiesta è stata fatta, o meglio è partita in un modo non adeguato, per quanto però bisogna riconoscere, che è un’inchiesta effettivamente molto difficile. Perché?
Perché per esempio questa ragazza è stata raggiunta da un numero infinito di coltellate, credo 29. All’inizio l’attività dell’investigatore si è orientata anche verso l’omicidio passionale, perché spesso ha questo tipo di reazione violenta. Senonché poi l’autopsia rileva che la ragazza era morta con un colpo alla testa, dato violentemente con un oggetto contundente, ecco perché dico che è un caso difficile, di estrema difficoltà. Allora perché l’assassino la uccide in un modo, ma vuole far apparire che l’ha uccisa in un modo diverso?
Questa è una delle ipotesi, siamo proprio nel campo delle opinioni e già questo crea un primo problema nell’attività delle indagini.

Scusa se interrompo, siamo sicuri che è morta per un colpo alla testa?

Sì, è un fatto processuale, che ha reso ancora più difficile la ricostruzione. Ora ci si torna su. Ho visto che c’è molto ottimismo, almeno sui media, magari, vorrei che si arrivasse alla verità perché non solo c’è un colpevole impunito, ma c’è un colpevole che gira ancora. Che è una persona, un criminale di grande pericolosità sociale.
Facciamo un po’ di ipotesi, perché solo ipotesi si possono fare. Se la macchia di sangue appartiene a Simonetta Cesaroni, quella rilevata nel lavatoio, allora vorrebbe dire che Simonetta è stata uccisa nel lavatorio e poi il suo corpo è stato trasportato all’interno dell’ufficio. Certo si può raggiungere un risultato, ma in un delitto si deve costruire la trama. Bisogna capire il perché. Viceversa, si potrebbe ottenere un risultato diverso: che quella macchia di sangue appartiene a un’altra persona. Allora bisognerà fare una comparazione del Dna di tutti quelli che sono entrati in questa vicenda, perché è entrato il portiere, l’avvocato, un altro signore, insomma sono entrati 5/6 protagonisti che poi sono usciti dall’indagine perché sono stati prosciolti, perché i vari Tribunali del riesame, la Cassazione, hanno rilevato che non c’erano elementi tali da poterli coinvolgere nell’omicidio. Allora bisognerebbe fare l’analisi del Dna di tutte queste persone; bisogna ricordare che per eseguire l’analisi del Dna su qualcuno, bisogna chiedergli la saliva, il sangue, bisogna avere il consenso.
Allora certo, se quella macchia di sangue risultasse essere di uno di questi, potrebbe cominciare ad essere un elemento indiziante di una certa rilevanza, di una certa importanza, di un certo peso. E se è di un’altra persona, se non è di Simonetta si riaprirebbe tutto il caso.
Quindi, bisogna avere fiducia sempre, bisogna essere ottimisti e bisogna avere la forza dell’ottimismo nell’indagine, cercare disperatamente la verità, però non si può condividere quella specie di trionfalismo che si è manifestato nei primi giorni sui giornali, sui vari quotidiani.

Perché è stato possibile far ripartire il processo? Qual è stata la molla?

La molla è stata la segnalazione dell’avvocato. Non mi pare che la molla sia stata il libro fatto dal datore di lavoro, ma certo quel libro è stato segnalato dall’avvocato della famiglia di Simonetta Cesaroni. C’è già una stranezza: 14 anni dopo il fatto escono fuori delle ricostruzioni diverse della storia. Dopo tanti anni esce un libro che porta un elemento importante rispetto a questa relazione amorosa della povera ragazza, che sarebbe stato, diciamo, una traccia indiziaria, investigativa molto importante all’epoca; ma queste rilevazioni escono solo dopo 14 anni. Ho letto una dichiarazione in cui si faceva un paragone con il caso Carretta. Carretta uccise padre, madre e fratello, poi la famiglia è sparita e non si è saputo niente per 8/9 anni; quel caso si è quindi risolto solo dopo anni, ma si è potuto risolvere perché è stato lo stesso Carretta a confessare tutto.
Lo fece in televisione, dopo anni dal fatto; ovviamente poi c’è stato bisogno delle verifiche, una macchia di sangue che è stata trovata nell’appartamento dopo 9 anni, ma una cosa è la verifica quando c’è la confessione, c’è la traccia investigativa sicura, una cosa è inventare ex novo il tutto, ricostruire le prove, reinventarsi la strategia investigativa.

Prima dicevi che in Italia non c’è la cultura del non inquinamento, in questo caso ci può essere stato un errore iniziale, o volontario, si è parlato pure di prove che sono state camuffate....

Sì, mi ricordo che si è parlato di un signore che sembra appartenesse ai Servizi segreti, ma qui veramente il “sembra” è d’obbligo. Nessuno ha mai stabilito chi fosse questo signore che ha indicato come assassino un ragazzo, un giovane ragazzo che era il figlio di un avvocato che aveva lo studio in via Poma, però poi si è rivelata anche lì un’indicazione sbagliata. Questa persona, Roland Voller, si diceva che fosse dei Servizi segreti, ma anche lì, che significato avrebbe che qualcuno dei Servizi segreti si inserisce per depistare; il problema è di trovare sempre il senso delle cose.
Anche perché Simonetta, mi pare, non avesse nulla di speciale da nascondere. Era una ragazza normale.
Simonetta era una ragazza semplice che faceva una vita normalissima, come tutte le ragazze. Era impiegata in un ufficio che non era neppure troppo importante, non credo che fosse un ufficio che poteva custodire dei segreti. Però non si sa mai che cosa può succedere nelle pieghe complicate della vita quotidiana.
Cose semplici, fatti banali possono avere uno svolgimento imprevedibile e possono diventare un giallo. Una persona, la persona più normale di questo mondo, può essere il custode di un fatto terribile, solo perché assiste, per esempio, ad un omicidio. Un semplice omicidio può anche essere legato a fatti che riguardano l’intelligence; se un essere umano che conduce una vita normale, ha questa sfortuna, diventa il protagonista, il custode di un segreto di quel tipo, può essere anche ucciso.



Una carriera di successi

Ha sessantacinque anni, Nino Marazzita, penalista di indiscussa fama; nativo di Palmi, è sposato ed ha due figlii, Giuseppe e Silvia, ormai grandi. Dopo gli studi liceali, si è trasferito a Roma per frequentare la Facoltà di Legge alla Sapienza. Suo padre, parlamentare socialista negli anni Sessanta, notissimo penalista anch’egli, subì condanne durante il fascismo.
A diciotto anni Nino Marazzita, appassionato di auto, partecipò ad una “Millemiglia”. Appena laureato frequentò lo studio del grande penalista Sotgiu e si appassionò alla carriera forense e, per un certo periodo, diresse anche la rivista “L’Eloquenza”.
I suoi successi non si contano. Basterà ricordarne alcuni, dei più famosi.
Nel 1965, appena avviato il suo studio legale, patrocinò gli interessi degli eredi di Pier Paolo Pasolini. Ancora Parte civile per la famiglia del giornalista Mauro De Mauro, scomparso a Palermo, probabilmente per mano mafiosa.
Rappresenta i congiunti di Rosaria Lopez, la ragazza uccisa al Circeo dal terzetto di rampolli della Roma-bene, Ghira, Izzo e Guidi. Poi assume la tutela della famiglia Moro nei processi per l’omicidio dello statista.
E ancora: il processo al viceprefetto Broccoletti, l’esponente dei Servizi segreti italiani che “sapeva tante, troppe cose”: fu difeso da Marazzita che per questo ricevette molte ed insospettabili pressioni perché “abbandonasse” il caso. È stato l’avvocato italiano di Jean Paul Sartre; ha difeso Pietro Pacciani in appello e assiste la famiglia Bianchi per la morte di Milena avvenuta in Tunisia. Attualmente cura gli interessi di molti personaggi del mondo dello spettacolo, tra i quali Claudio Amendola, Rita Dalla Chiesa, Isabella Rossellini, Roberto Benigni, Osvaldo Bevilacqua, Anna Kanakis, Pamela Prati, Antonio Lubrano.

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