Sei anni fa una ragazza di Arce viene trovata
morta in un campo. Gli inquirenti, dopo
due anni d’indagini, processano
Carmine Belli, ma tre gradi di giudizio
(Cassazione compresa) lo assolvono
E’ il primo di giugno del 2001 quando Serena Mollicone, diciottenne di Arce (in provincia di Frosinone), esce di casa di buonora; ha preparato la colazione per il papà, con cui vive sola da quando la mamma è morta.
Deve recarsi all’ospedale di Sora: ha un appuntamento, fissato da giorni, per effettuare una lastra ortopanoramica.
Da quel momento inizia il “mistero”. Non farà più ritorno a casa.
Trascorsa l’ora di pranzo, il padre Guglielmo (maestro elementare titolare di una cartoleria ad Arce) comincia a preoccuparsi per l’assenza della figlia.
Attende ancora alcune ore poi, nel tardo pomeriggio, ne denuncia la scomparsa ai Carabinieri della cittadina.
E cominciano le ricerche.
Forze dell’ordine e volontari setacciano le zone del circondario, con una foto di Serena, nella speranza di avere notizie atte al rintraccio.
Il 2 giugno due volontari della Protezione Civile trovano il corpo della ragazza nella campagna, accanto ad un cumulo di rifiuti.
Iniziano le indagini coordinate dal Procuratore della Repubblica di Cassino Gianfranco Izzo e dai Sostituti Procuratori Arcuri e Morra.
Passano circa due anni di indagini, ma nessuno, alla Procura, se la sente di rischiare per un arresto che potrebbe rivelarsi un boomerang. Si attendono gli esami sulle impronte digitali, non solo sul nastro adesivo con il quale è stata legata ai polsi Serena Mollicone, ma anche sui libri, sui fogli sparsi della “tesina” trovati attorno al cadavere della ragazza, sul cellulare, riapparso “misteriosamente” in un cassetto della scrivania della ragazza.
D’altra parte, secondo la prassi per essere scientificamente valide, le impronte devono avere almeno nove punti di riferimento coincidenti. E non è detto che sugli oggetti esaminati la traccia sia così nitida; per le sei impronte prese dagli investigatori ad altrettante persone sospette, si procederà ad una comparazione e solo in caso di esito positivo ci potrebbe essere un provvedimento giudiziario.
Anche il telefonino di Serena, e il modo in cui è riapparso, è al centro di nuovi interrogatori: Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, sospetta che qualcuno sia entrato in casa di notte, il giorno in cui tutto il paese era alla veglia funebre della ragazza.
Lo stesso papà spiega che, con quasi certezza, l’omicida della figlia si è servito delle chiavi di casa della ragazza, le uniche disponibili, tanto che in quei giorni ha dovuto lasciare aperta la porta di casa.
Ma se la porta era aperta, perché entrare di soppiatto e di notte? Questa circostanza resta da chiarire anche se gli investigatori ritengono che il ritrovamento del cellulare abbia valore di un messaggio; una minaccia dell’assassino al padre? Mollicone ne è convinto. E il profilo di una fede rilevato sul nastro adesivo che serrava i polsi di Serena ripropone la tesi seguita all’inizio dalle indagini: quella dell’amante segreto, magari sposato.
E si giunge alla data del 6 febbraio 2003, quasi due anni dal delitto. Le manette scattano ai polsi di un presunto colpevole, il carrozziere Carmine Belli. Ma lui nega disperatamente e dice di non sapere nulla di quel delitto. Nessuno gli crede e dopo tre mesi, a fine maggio 2003, la Procura di Cassino conclude le indagini e chiede il rinvio a giudizio per Carmine Belli. L’accusa: omicidio volontario e occultamento di cadavere. I legali del Belli (Romano Misserville e Silvana Cristoforo) continuano a sostenere la completa estraneità del Belli e, nel corso di una conferenza stampa, chiedono che si indaghi in maniera più attenta negli ambienti vicini alla famiglia di Serena.
Nel gennaio 2004 si apre il processo a Carmine Belli davanti alla Corte d’Assise di Cassino. L’accusato deve rispondere, come già detto, di omicidio volontario con l’aggravante dell’occultamento del cadavere. La pubblica accusa chiama a testimoniare 57 persone; la difesa, invece, ben 150. La richiesta della pubblica accusa: 23 anni di carcere; la parte civile per il papà di Serena, chiede la stessa pena ed un risarcimento di sei milioni di euro. La difesa chiede la completa assoluzione per Belli.
Il sette di luglio 2004 la Corte d’Assise sentenzia: assoluzione.
Nel settembre dell’anno successivo inizia a Roma il processo di appello dopo il ricorso della Procura di Cassino. Passano quattro mesi per lungaggini burocratiche inerenti la difesa di Belli e inizia il dibattimento; secondo la pubblica accusa, l’imputato avrebbe più volte mentito e il suo alibi sarebbe del tutto falso. Inoltre, sempre secondo il Procuratore generale, l’imputato per allontanare da sé i sospetti, arrivò anche a minacciare un suo dipendente (Pierpaolo Tomaselli) promettendogli che avrebbe fatto la stessa fine di Serena Mollicone se non avesse taciuto. Dopo meno di due ore di camera di consiglio, il presidente Cappiello pronuncia la seconda sentenza di assoluzione per Belli: mancanza di prove. I familiari della ragazza vengono condannati al pagamento delle spese processuali.
Nell’ottobre dello scorso anno l’atto finale di questo delitto: la prima sezione della Corte di Cassazione respinge tutti i ricorsi, accoglie la tesi difensiva del carrozziere Belli e lo assolve definitivamente.
Sei anni di indagini, processi ma nessun colpevole. L’omicida di Serena Mollicone è ancora libero.
NELLA FOTO: Serena Mollicone
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