Trentanove anni fa l’omicidio del giornalista del Corriere della Sera.
La sua battaglia per la libertà di stampa e per l’autonomia del giornalismo dal potere politico.
“La sua assenza e la sua morte hanno accompagnato tutta la prima parte della mia vita” ha detto la figlia Benedetta
…il tentativo di conquistare l’egemonia delle fabbriche è fallito. I terroristi risultano isolati dal grosso della classe operaia. L’immagine delle Brigate Rosse si è rovesciata. Sono emerse falle e debolezze… E così si dissolve il mito dell’imprendibile colonna genovese, il nucleo d’acciaio delle Brigate Rosse ha subìto un colpo durissimo. I frutti prodotti dal fascino malefico della clandestinità sono un seme che avvelena e angustia ormai l’intera società. È una paura diffusa, un terrore istintivo…
Sono alcune frasi di un articolo pubblicato il 20 aprile del 1980 sulla prima pagina del Corriere della Sera col titolo Non sono samurai invincibili. La firma è quella di Walter Tobagi, un giornalista scomodo, un riformista convinto, un uomo perbene di grande onestà intellettuale. Ha trentatrè anni Tobagi – sposato con due figli piccoli, Benedetta e Luca – quando viene colpito dal piombo terrorista.
Barbone esplode il primo colpo e il giornalista Walter Tobagi per una manciata di secondi continua a camminare sulle sue gambe. È in quel frangente che Barbone mi dice ‘spara, spara’ ed io esplodo allora tre colpi in rapida successione. Tobagi ha un momento di sbandamento, fa per appoggiarsi a una macchina ma crolla sulle gambe. È in quel momento che Barbone dice ‘non è morto’, si china anche lui sulle gambe ed esplode un altro colpo.
[... segue...]
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