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Maggio-Giugno/2008 - Analisi
Il transgenico ci salverà dalla fame? Sì, no, forse
di Aldo Zerbi

Ogm, Organismi geneticamente modificati: sulle confezioni di molti prodotti alimentari la sigla appare per segnalare la loro assenza, il che fa pensare che si tratti di qualcosa di dannoso, da evitare accuratamente, e nello stesso tempo spinge a chiedersi il perché di quella segnalazione, insieme rassicurante (anche se la maggioranza dei consumatori non sa che cosa sono esattamente gli Ogm) e inquietante (perché sembra implicito che rappresentino una minaccia sempre in agguato). Ma sono davvero un pericolo? O, al contrario, costituiscono un’occasione da non perdere per produrre cibo a sufficienza per tutti gli abitanti del pianeta? Ardua la risposta, poiché vi sono a questo proposito pareri autorevolissimi sul piano scientifico di segno assolutamente contrario.
Un fatto è incontrovertibile: il mondo ha fame. Nelle zone “ricche” il problema alimentare si pone sotto forma di costi in ascesa frenetica che incidono sempre più pesantemente sui bilanci familiari. Nei più svantaggiati tra i Paesi “in via di sviluppo” la crisi alimentare è endemica: secondo i calcoli della Fao (che il 3-4 giugno ha tenuto a Roma un summit su questo problema) 820 milioni di persone sono sottonutrite, la metà sono contadini, il 30% pescatori, il 20% poveri urbanizzati. La situazione, ovviamente, non può che aggravarsi, a meno che non si trovi il modo di aumentare la produzione dei raccolti. E questo, secondo alcuni scienziati e esperti del settore, si può ottenere solo con gli Ogm. Ne è convinto, ad esempio, Pinstrup-Andersen, vincitore del World Food 2001, professore all’americana Cornell University: “I coltivatori, in tutto il mondo, potrebbero produrre più cibo a minor costo se i governi investissero di più in ricerca e tecnologia applicata all’agricoltura, oltre che nelle infrastrutture, nella sanità di base e nell’educazione delle aree rurali. La ricerca deve e può tradursi in una maggiore produttività delle aree fertili utilizzando minori risorse, cioè meno acqua e meno terra”. L’ingegneria genetica permetterebbe di controllare i parassiti senza l’uso di pesticidi chimici, di sviluppare colture in grado di dare maggiori rese, e di adattarsi a terreni aridi o salini, di allevare animali più resistenti alle malattie, e persino di migliorare il contenuto nutritivo degli alimenti.
Del resto, fanno notare i sostenitori degli Ogm, la manipolazione genetica degli organismi ha radici millenarie: tutto ciò di cui ci nutriamo, vegetale o animale (a parte il pesce non di allevamento) è stato modificato rispetto alle sue caratteristiche originarie con ibridizzazioni, incroci, allevamenti selettivi. In effetti la natura non prevedeva di dover nutrire un numero sempre crescente di esseri umani, ed è stato necessario modificarne e forzarne le regole, sempre di più. Fino alla manipolazione del Dna in laboratorio, per ottenere resistenti a virus, funghi, insetti, sostanze tossiche, condizioni ambientali difficili, e così via. In fondo, l’ingegneria genetica rappresenta un risparmio di tempo, ottiene risultati mirati in pochi anni, mentre prima le trasformazioni avvenivano per tentativi nel corso delle generazioni.
E l’Ogm, accompagnato da diffidenze e resistenze, si allarga: a livello mondiale la superficie coltivata a biotech dal 2006 al 2007 è aumentata del 12%, con l’aggiunta di 114,3 milioni di ettari. In testa sono gli Stati Uniti (la cui produzione biotech, 57,7 milioni di ettari, è il 50% di quella totale), Argentina, Brasile, Canada, India. Segue a ruota la Cina, che punta a realizzare uno staordinario “golden rice”, un riso biotech con rese e proprietà eccezionali. A similitudine della superpatata coltivata finora sperimentalmente nei laboratori del Centro nazionale per la ricerca economica delle piante di New Delhi, dotata di un elevato contenuto proteico. Finora i prodotti Ogm più intensamente coltivati e commercializzati sono mais, soia, colza, cotone, ma l’ingegneria genetica è attiva anche in altri settori, dai peperoni alle fragole. E i coltivatori americani, considerando l’aumento dei prezzi e il calo delle scorte, hanno deciso di passare al biotech anche nella produzione di grano. Ovviamente, attraverso i mangimi, l’Ogm entra in pieno nel settore dell’allevamento, dai bovini al pollame.
Cui prodest? In teoria, o almeno secondo i sostenitori dell’ Ogm, a tutti: più cibo e meno caro, anche se qualche oppositore ipotizza il rischio di allergie di vario tipo. Comunque, certo conviene alle grandi transnazionali leader del settore agro-chimico-biotecnologico: Monsanto (Usa), Dupont (Usa), Dow Agrosciences (Usa), Basf (Germania), Bayer Cropscience (Germania), Sumitomo (Giappone), Syngenta (Svizzera). Sono queste società a detenere i brevetti delle biotecnologie, e a fornire le sementi necessarie. Ed è questo uno degli argomenti “contro”: a differenza dei semi organici, quelli transgenici spesso si devitalizzano e non possono essere riutilizzati per la semina successiva, obbligando così i coltivatori a dipendere dalle aziende che li producono.
Ma va detto che il fronte che avversa l’Ogm si presenta piuttosto in ordine sparso. L’Europa sembrava essere il bastione dell’anti biotech, ma in Spagna la superficie coltivata di mais transgenico nell’ultimo anno è aumentata del 40%, e il governo ha dato il via libera alla superpatata. In Francia, nell’aprile scorso è stata approvata una legge, da tutti definita “ambigua”, che di fatto consente le coltivazioni Ogm, stabilendo che gli agricoltori del transgenico “avranno l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione così da risarcire altri coltivatori eventualmente contaminati”. E’ questo un altro aspetto della contesa: una coltivazione Ogm può “inquinare” un’altra coltivazione che si trovi a una certa vicinanza. Meno di venti metri, sembra, ma la dispersione del polline potrebbe andare più lontano. E in Italia? Nel bastione, il nostro Paese porta alta la bandiera della resistenza al biotech, una posizione intransigente che era già del governo Prodi, condivisa e sostenuta dal governo Berlusconi. Leggiamo una dichiarazione rilasciata, alla vigilia del vertice Fao, a Magazine - Corriere della Sera da Luca Zaia, ministro delle Politiche Agricole: “Lavoreremo per difendere i prodotti e le tradizioni del territorio, per sostenere il Made in Italy di qualità e per garantire la sicurezza alimentare. In questo senso non possiamo che perseguire nei confronti degli Ogm la linea della massima precauzione seguita negli anni scorsi; una strada sulla quale ci muoveremo con convinzione anche a Bruxelles, dove manterremo una posizione che sarà in linea con quanto chiedono i cittadini, che in Italia e in Europa hanno già espresso una larga opinione contro gli Ogm. Crediamo che gli Ogm non siano la panacea di tutti i mali e siamo convinti che occorra la massima attenzione nel monitoraggio delle colture nel controllo delle importazioni, a tutela della salute dei consumatori e a difesa dell’agroalimentare italiano di qualità”.
Di parere apparentemente diverso Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo Economico, che, in un’intervista pubblicata da Il Tempo il 2 giugno scorso, afferma: “Sono sempre stato favorevole agli Ogm, oggi ancor di più. L’importante nel percorrere questa strada è garantire la tracciabilità dei prodotti perché i consumatori possano sapere cosa comprano”.

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