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Ottobre-Novembre/2008 - Analisi
La strategia “elettorale” di Osama bin Laden
di Belphagor

“Al-Qaeda ha sviluppato uno schema di comportamento prevedibile, e ciò fornisce importanti indizi su quello che dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi”, ha rilevato nel settembre scorso il consigliere della Nato Bruce Riedel, ex analista della Cia. Il che non significa che Osama bin Laden sia oggi più vicino ad essere catturato o ucciso di quanto lo fosse sette anni fa, quando, dopo l’11 settembre 2001, ebbe inizio la grande caccia. Gli esperti di intelligence sembrano essere d’accordo nel ritenere che lo Sceicco Nero ha messo a punto un sistema di autoprotezione tanto sofisticato che nessuno sa con precisione dove egli esattamente si trovi. E nello stesso tempo ha molto diversificato e ampliato la sua rete del terrore, trasformandola in una galassia di centri autonomi, legati alla Base dal legame ideologico alla “guerra santa”, riservandosi la scelta di alcune operazioni strategicamente mirate. Come è stato per l’attentato e l’assalto all’ambasciata americana a Sanaa, capitale dello Yemen del settembre scorso.
“Questo attentato ci ricorda che siamo in guerra contro estremisti pronti a uccidere innocenti per raggiungere i loro obiettivi ideologici - aveva commentato George W. Bush - Uno degli obiettivi di questi estremisti, quando uccidono, è provare a fare in modo che gli Stati Uniti desistano e che si ritirino dalla regioni del mondo”. Il Presidente, ormai avviato al termine del suo incarico, aveva quindi ripetuta la sua tesi di una “guerra globale al terrorismo” che tende sostanzialmente a giustificare il conflitto in Iraq. Dimenticando ancora una volta che nel Paese dominato da Saddam Hussein, prima dell’intervento americano, al-Qaeda non aveva mai potuto mettere piede, dato che il dittatore di Baghdad detestava e temeva i terroristi islamici almeno quanto il suo avversario di Washington.
Ma tutto ciò rientra nei temi - spesso intricati e contraddittori - della propaganda, ed è appunto in questo campo che Osama bin Laden ha attrezzato la sua “cupola” con un elevato livello tecnologico. L’emittente “as-Sahab” (Le Nuvole), che sarebbe annidata nelle montagne dellHindu Kush, nelle aree tribali pashtun del Pakistan, trasmette da un paio di anni oltre dieci messaggi al mese, mescolando appelli generici a segnali criptati ben precisi. Da alcuni anni gli americani chiedono - senza risultati tangibili - al governo pakistano di “bonificare” questo santuario dei talebani e di al-Qaeda. E intanto effettuano autonomamente incursioni aeree contro obiettivi peraltro difficilmente raggiungibili. Ma non certo con la fondata speranza di colpire il grande capo.
Lo Sceicco Nero è, paragone particolarmente appropriato, come l’Araba Fenice, “tutti dicono che c’è, ma dov’è nessun lo dice”. Malgrado le ricerche incessanti, e la taglia di 25 milioni di dollari. Ma Osama bin Laden non si accontenta di restare vivo e libero. Non vuole che ci si dimentichi di lui, esige di essere presente sulla scena internazionale, sapendo che il suo potere risiede essenzialmente nella sua immagine, nel peso che può assumere quello che fa e quello che dice. Un peso negativo, ma nondimeno influente. Per ottenere questo scopo non esita - come ha sempre fatto - a pianificare o a sponsorizzare uccisioni di massa, senza badare a distinzioni etniche e religiose.
Su questa linea, afferma Bruce Riedel, lo Sceicco Nero da qualche tempo aveva progettato di inserire la sua influenza nelle elezioni presidenziali Usa. Lo aveva già fatto nel 2004, quando indirizzando un minaccioso video agli elettori americani concorse fortemente alla sconfitta del candidato democratico John Kerry, con un intervento mediatico che apparve come una conferma dell’identificazione della guerra in Iraq con la lotta al terrorismo proclamata da Bush.
Ovviamente sarebbe un assurdo supporre che Osama abbia “fatto campagna” per Obama o per McCain. Ma il punto è un altro. Lo Sceicco Nero, per rimanere sulla scena, ha assoluto bisogno di una presenza militare americana nelle terre dell’Islam. Non vuole affatto che “gli Stati Uniti si ritirino”, come sembra ritenere Bush, confondendo i ribelli iracheni - sunniti e sciiti - con i terroristi qaedisti. In questa ottica, bin Laden mira a condizionare il prossimo Presidente costringendolo a mantenere una politica di segno militare. Allo Sceicco Nero non importa nulla dell’indipendenza delle varie nazioni islamiche, anzi si è sempre espresso con disprezzo nei loro confronti, considerando il termine “nazione” sinonimo di un detestabile “laicismo”. Vagheggiando - probabilmente solo a parole - un utopico “Califfato di tutti i credenti” (di cui egli dovrebbe essere il Califfo), nella realtà odierna per sopravvivere come icona immanente del terrore deve vantare un “grande nemico” da additare all’esecrazione dei musulmani.
L’attentato a Sanaa si colloca in questa logica. Per vari motivi. Lo Yemen è la patria della famiglia di Osama, che conta su molte simpatie fra le tribù dell’Hadramaut, una regione settentrionale dove è forte l’influenza fondamentalista. In quel Paese, all’epoca diviso in due Stati - uno a nord filoamericano, con capitale Sanaa, e l’altro, con capitale Aden, legato all’Unione sovietica - Osama disponeva di campi di addestramento per la guerriglia contro l’Armata rossa e i suoi alleati in Afghanistan. Nei primi anni ’90 aiutò Al’ Abdullah Saleh, presidente dello Yemen del nord a sconfiggere il regime filosovietico di Aden e a unificare il Paese. E Saleh è ancora oggi al potere, in una situazione piuttosto simile a quella del Pakistan: lo Yemen è un “fedele alleato” degli Stati Uniti, però nello stesso tempo Osama conta numerosi amici nelle sfere del potere, e di una diffusa popolarità nell’opinione pubblica. Da anni nello Yemen, una regione poverissima che spesso deve ricorrere agli aiuti dei più fortunati Emirati del Golfo, sono attive cellule di al-Qaeda, che fra l’altro in passato hanno aiutato Saleh a reprimere la rivolta delle tribù sciite.
Non a caso proprio nel porto di Aden al-Qaeda realizzò, il 12 ottobre 2000 il clamoroso attacco suicida contro il cacciatorpediniere Uss Cole, che provocò la morte di 17 marinai americani. Undici mesi dopo vi fu l’attentato alle Twin Towers, e lo Sceicco Nero assunse il ruolo di gestore di stragi su scala mondiale. Michael Scheurer, ex capo del centro anti terrorismo della Cia, prevede che Osama voglia rafforzare la presenza della sua struttura nello Yemen, dove potrebbe disporre di santuari altrettanto, e forse persino più sicuri di quelli fra Pakistan e Afghanistan. Con lo scopo, inoltre, di diversificare il fronte del terrore, e prolungare una sfida che non potrà mai essere vincente, ma che è difficile dire quando e come potrà essere annientata.

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