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Novembre/2010 - Analisi
Afghanistan, è difficile sia andarsene che restare
di Belphagor

“Legittimo l’impegno italiano in Afghanistan”, ma i fatti “ci impongono di continuare a procedere nell’aggiornamento delle strategie, delle strutture e delle capacità operative delle forze di sicurezza che le incognite e i mutamenti del contesto internazionale obiettivamente richiedono. Per rendere più efficace il contrasto delle minacce da fronteggiare, garantendo nel contempo la massima protezione ai contingenti impegnati e alle popolazioni civili coinvolte”. Nel messaggio del presidente Giorgio Napolitano in occasione della Giornata delle Forze armate troviamo una rappresentazione impeccabile di una situazione nella quale la proclamata legittimità non basta a rispondere agli interrogativi che si pongono soprattutto davanti a eventi dolorosi come la morte in un agguato di quattro nostri alpini.
Va detto che l’interrogativo “che cosa fare in Afghanistan?” se lo pongono anche alcuni che per il loro ruolo sarebbero tenuti piuttosto a fornire delle risposte, per primo il presidente americano Barack Obama.
* * *
Isaf (International Security Assistance Force), Enduring Freedom (Rafforzando la libertà). Ecco, sotto un certo aspetto è una questione di nomi, dei nomi di due missioni militari: uno, il primo, ormai molto noto perché spesso citato per drammatici motivi, il secondo quasi del tutto ignorato dai comunicati ufficiali, e persino dalle cronache dei media. Il fatto è che le due missioni sono entrambe guidate dalla Nato - l’alleanza atlantica che non avendo più un antagonista del suo peso dopo l’implosione dell’Unione sovietica si è trasformata in una sorta di braccio armato dell’Onu -, ma sono, o almeno dovrebbero essere, molto diverse tra loro.
All’inizio dell’“affare afghano”, però, non vi erano né la Nato né l’Onu. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers e al Pentagono, gli Stati Uniti, con l’appoggio della Gran Bretagna, avevano attaccato l’Afghanistan per eliminare le basi di al-Qaeda che notoriamente si trovavano in quel Paese dominato dai talebani, alleati e complici dei terroristi guidati da Osama bin Laden. L’operazione era stata chiamata Enduring Freedom, e da allora continua a chiamarsi così perché quel conflitto, apparentemente avviato a rapida conclusione – anche con il concorso dei “signori della guerra” del Nord – alla fine del 2001, dura tuttora.
Il 20 dicembre 2001 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva istituito la missione multinazionale Isaf, affidandole il compito di proteggere Kabul e il governo transitorio di Hamid Karzai, installato dagli americani. Due anni dopo, il 13 ottobre 2003, il mandato era stato esteso al resto dell’Afghanistan, e i militari dell’Isaf, coadiuvati da operatori civili, dovevano formare i Provincial Reconstruction Teams (Prt), centri per la ricostruzione e lo sviluppo. Gli italiani avevano ottenuto ottimi risultati con il Prt di Herat. Nel frattempo Enduring Freedom continuava a dare la caccia ai talebani, e a Osama bin Laden, nelle zone montuose alla frontiera con il Pakistan. Per la Casa Bianca, ora impegnata nella guerra in Iraq, l’Afghanistan era un caso risolto, e comunque secondario. Purtroppo dello stesso parere non erano i talebani, i quali – sempre guidati dal mullah Omar, e forse dallo stesso bin Laden – nelle montagne avevano trovato il modo di riorganizzarsi, di accrescere i loro effettivi, e di portare la guerra in tutto il Paese. Un notevole aiuto era stato loro fornito dai Servizi segreti pakistani.
In questa situazione, le due missioni – una “pacifica” e l’altra “guerriera” – avevano continuato a convivere pressoché ignorandosi, sia pure con qualche non irragionevole irritazione da parte dei responsabili di Enduring Freedom: gli americani si trovavano a combattere, e a morire, anche per conto dei militari Isaf, ai quali le regole di ingaggio vietavano azioni offensive, dato che erano loro a contenere gli attacchi dei telebani. E non solo dei talebani, perché la ribellione si estendeva ad altri gruppi tribali rimasti in attesa di valutare i rispettivi rapporti di forze. Nell’ottobre 2006 la Nato, che già aveva il comando di Isaf, aveva assunto anche quello di Enduring Freedom, ma qualcuno si era chiesto se in realtà non fosse accaduto il contrario, cioè se la missione “guerriera” non avesse inglobato quella “pacifica”.
Anche a questo quesito qualcuno dovrebbe forse rispondere, resta il fatto che dal 4 febbraio 2007 un generale americano ha sempre guidato l’una e l’altra missione: prima Dan K. McNeill, poi David D. McKieman, seguito, il 20 maggio 2009, da Stanley A. Mc Crystal. Era stato Barack Obama a nominare Mc Crystal comandante delle Forze statunitensi in Afghanistan (quello dell’Isaf essendo una formalità semiautomatica), ed era stato Barack Obama a licenziarlo dopo che il generale aveva criticato in un’intervista (al settimanale Rolling Stone) la decisione del Presidente di iniziare il ritiro dall’Afghanistan nel luglio 2011. Dopo aver chiusa la disastrosa eredità del conflitto in Iraq lasciando che gli iracheni se la vedano loro, Obama vorrebbe realizzare la medesima operazione a Kabul e dintorni. E il 3 giugno 2010 ha sostituito Mc Crystal con David Petraeis, già responsabile di tutto lo scacchiere mediorientale, il quale appena nominato ha riproposto i dubbi di Mc Crystal.
Quanto ai talebani, i fondamentalisti islamici e i loro occasionali alleati non fanno distinzione fra Isaf e Enduring Freedom: sono tutti egualmente nemici, compresi gli operatori civili e i membri delle ong. Stando così le cose, la posizione dei militari della International Security Assistance Force è estremamente complessa, e a volte con esiti funesti. Viene detto da più parti che si dovrebbero rivedere le regole d’ingaggio, ma anche dando per scontato il massimo della buona volontà; sembra difficile mettere insieme, senza smaccate contraddizioni, missione di pace e missione di guerra. A meno di non voler tornare ai nostri padri antichi con il loro “Si vis pacem para bellum”, ambigua sentenza della quale, infatti, è rimasto il nome di un fucile mitragliatore.

FOTO: Isaf 2006 - I soldati italiani in Afghanistan (foto di Leandro Abeille)

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