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Settembre-Ottobre/2011 - Analisi
Una Primavera invernale?
di Belphagor

A volte dopo la primavera arriva direttamente l’inverno. Questo può accadere facilmente quando la stagione dei fiori viene usata come immagine politica, e l’esempio più recente è la cosiddetta “primavera araba”. Definizione suggestiva di un richiamo scaramantico allusivo: la “primavera araba” sarà forse anche una “primavera islamica”?
Certo, si tratta di intendersi sul senso delle aspettative. Da più parti si è avocato un nuovo Sessantotto, evento che nel secolo scorso fu molto rivoluzionario a parole e pochissimo nei risultati. E del resto, anche al temine “rivoluzione” possono essere conferiti diversi significati. In Egitto, in Sudan, nello Yemen, in Libia, in Siria aveva assunto questo nome la conquista del potere da parte di regimi autoritari sorretti dalle caste militari e avversati dall’estremismo islamico. Situazioni simili si erano prodotte nel Maghreb, mentre un indirizzo diametralmente opposto aveva avuto nell’Iran sciita, e non arabo, la rivoluzione khomeinista, teocratica ad oltranza. Realtà spesso tra loro ostili, accomunate solo dall’inimicizia per Israele, condivisa anche dai loro antagonisti integralisti. Questa situazione era stata in parte sbloccata dall’egiziano Mubarak.
Si è dato per scontato che dietro alle dimostrazioni di piazza e alle rivolte che abbiamo visto espandersi nei Paesi arabi vi sia stato un diffuso desiderio di libertà e di giustizia di segno molto vicino a quello “occidentale”. E si è molto insistito sul valore di Internet quale strumento di espansione della democrazia, una sorta di grimaldello atto a scardinare le dittature.
A questo proposito sarebbe opportuno ricordare che il web può trasmettere messaggi di ogni tipo, non necessariamente di elevato contenuto etico e politicamente corretti.
Tornando al tema iniziale, i segnali provenienti dai paesi entrati nel nuovo corso “primaverile” non sembrano indicare una decisa sterzata verso la democrazia. E quanto al laicismo lo si direbbe quasi del tutto assente nelle rivendicazioni dei “rinnovatori”. Anzi, il vento soffia in direzione decisamente opposta. Come ha scritto Domenico Quirico su La Stampa dell’11 ottobre in merito alla situazione della Tunisia: “C’è un partito legale, “democratico”, antico, Ennadha, con stigmate di opposizione alla dittatura guadagnate nelle galere, sui patiboli, nell’esilio consumato per anni in 50 Stati. Promette democrazia ad ogni comizio e in ogni documento laicità, libertà ed economia di mercato. E poi c’è l’ala dura, “i talebani” come li chiama la gente intimorita, quelli dei bastoni, dei cortei che esigono la sharia subito e lo Stato islamico domani. Hanno lavorato molto e bene, questi integralisti del randello, sfruttando a dovere questi mesi di caos, con un governo asfittico, di transizione, senza alcuna investitura, guidato da notabili che nel periodo della dittatura sono sopravvissuti benissimo, sdraiati in profittevoli poltrone; con l’economia disfatta e la miseria e l’insicurezza che crescono a vista d’occhio (…)”. Tutto ciò, l’editorialista della Stampa lo scriveva due settimane prima delle elezioni, fissate per il 23 ottobre. Terminava il suo articolo con un monito: “Prepariamoci: nel Maghreb il secondo capitolo sta per essere scritto. Non ci piacerà”.
E in effetti le elezioni sono state vinte da Ennadha, che si è affrettato a dire, anche attraverso una sua leader senza veli, che la democrazia sarà garantita come si aspetta il mondo e la Tunisia. Questo accadeva appunto all’indomani della vittoria. Resta da vedere se sarà effettivamente così, data la presenza di forti, anche se per ora silenziose, componenti integraliste.
Passando dalla Tunisia all’Egitto la persecuzione della minoranza copta e il deciso raffreddamento dei rapporti con Israele sono obiettivamente delle chiusure, dei passi indietro. Una strategia dovuta alla casualità degli eventi o orchestrata da ben precisi burattinai? Il fatto è che, qualsiasi sia il riferimento stagionale, l’universo islamico continua ad essere spesso un vespaio politico.
La vicenda della preparazione di attentati dinamitardi contro l’ambasciatore saudita a Washington e obiettivi israeliani negli Usa e in America Latina da parte di Narcos messicani, finanziati, affermano i vertici militari e di intelligence americani, dai servizi iraniani non è solo un episodio della guerra secolare tra sciiti e sunniti.
Per finire, dietro a questa sedicente primavera, vi sono fatti, progetti e interessi che bisognerebbe essere in grado di individuare correttamente, senza voler a tutti i costi vedere ciò che si ha interesse a vedere.

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