La pressione di quei giorni, gli scontri, i danneggiamenti, i mezzi delle Forze dell’ordine incendiati, i lanci di molotov, tutto questo non può in nessun caso legittimare reazioni, violente al pari di quelle subite. È questa la differenza che corre tra gli uomini al servizio dello stato di diritto e i provocatori di professione che usano violenza sulle cose e sugli uomini delle Forze dell’ordine, per innescare violenti scontri, a cui fanno seguire le tipiche azioni di guerriglia urbana, alla ricerca degli errori del poliziotto per poi erigerlo a simbolo della repressione autoritaria. Che non c’è stata, che non c’è e che non ci sarà mai.
La missione del provocatore è quella di aggregare consenso e solidarietà piegando la realtà complessiva a episodi di naturale reazione, fino a persuadere anche coscienze democratiche, dando alimento a generalizzazioni precostituite e determinando una pericolosa pressione mediatica, che si esercita sul senso comune, rischiando di minare la coesione sociale.
Ma, grazie al processo di democratizzazione delle Forze dell’ordine, sono finiti i tempi del manicheismo che collocava i cattivi da una parte e buoni dall’altra e la repressione contro la libertà d’espressione. E oggi infatti siamo qui a confrontarci su colpe e responsabilità, oneri e compiti di tutti gli attori, scevri da pregiudizi e preclusioni, in nome della verità dei fatti.
L’istituzione Polizia, con i suoi comportamenti successivi ai fatti del G8, è andata ben oltre un’assunzione di responsabilità ed ha agito al suo interno, affinché gli errori commessi nel luglio del 2001 non si ripetessero più, con una tenace convinzione che ha trovato la sua massima espressione nella fondazione della Scuola di Polizia, la cui filosofia è proprio quella di apprendere dai propri errori.
La politica, dai fatti di Genova, non può esimersi dal continuare ad investire di più, senza mai far mancare le risorse per la preparazione delle Forze di polizia proprio nell’ordine pubblico, poiché oggi le tensioni sociali effetto della crisi economica non consentono errori nelle piazze italiane.
A Genova fu fatale l’adozione di un approccio ispirato alla militarizzazione della città per gestire l’evento, mediante una impostazione rigida, impreparata a governare una situazione complessa e ricca di diversità.
Noi come gli organizzatori del Social Forum abbiamo la responsabilità di non aver saputo interpretare i fermenti avvelenati che circolavano nell’evento e li si è affrontati da entrambe le parti con una filosofia vecchia ed inadeguata ad una realtà in mutazione, la cui aggressività andava deflazionata, con il dialogo. Ma in ogni caso per mediare tutte le parti devono volerlo.
Sono anni che la Polizia non commette più errori collettivi, sono anni che non ha reazioni che travalichino i limiti imposti dalla legge, fino al punto che qualcuno ci rimprovera di essere afflitti dalla “sindrome del G8”.
Vogliamo essere molto espliciti: non è nella missione della Polizia usare violenza nemmeno in risposta alla violenza.
Noi uomini dello stato di diritto abbiamo l’obbligo di rispettare le sentenze, qualsiasi esse siano, non perché ci obbliga la legge, ma per intima convinzione e per lealtà nei confronti dello Stato e della democrazia.
Dalle sentenze non vanno tratti né motivi di soddisfazione né di amarezza, ma solo insegnamenti a non ripetere gli errori e la Polizia di Stato lo sta facendo da tempo.
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