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Marzo-Aprile/2013 - Analisi
Elezioni
Analisi dell’Italia dopo il voto
di a cura di Andrea Nicosia

Divisa e incerta, ma con una grande voglia di cambiare e rinnovarsi. È l’Italia uscita dalle urne il 24 e 25 febbraio scorso. Dopo una campagna elettorale dai toni forti combattuta a colpi di scena e di mouse, non si è arrivati a un esito risolutivo. Come si può cambiare questa legge elettorale? La democrazia liquida avrà un futuro? Di quali riforme urgenti necessita il Paese?
Polizia e Democrazia ha girato queste domande ad Alessandro Sterpa, professore aggregato di Istituzioni di Diritto Pubblico presso la facoltà di Scienze politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma e fondatore dell’Osservatorio dei processi di governo e sul federalismo e dell’Istituto per la competitività.

Professor Sterpa, che Italia ritroviamo dopo il voto?
Le elezioni del 25 febbraio hanno fotografato sicuramente un Paese diviso. Perché quello schema bipolare, che nel 2008 aveva raggiunto il suo apice, in realtà è saltato dando vita a un sistema politico multipolare. Allo stesso tempo, però, questo voto ha mostrato un elettorato molto più consapevole e maturo. A dimostrazione di questo, basta dare uno sguardo a cosa è successo nel Lazio: più di 345 mila persone hanno votato in maniera disgiunta, esprimendo una preferenza, alla Camera, per il Centrodestra, Terzo polo o per il Movimento guidato da Beppe Grillo, mentre alla Regione hanno premiato il Centrosinistra.

Il responso uscito dalle urne ha sorpreso soprattutto nei numeri. Era prevedibile uno scenario simile?
Non era prevedibile il crollo verticale dei consensi per i due maggiori partiti rispetto al 2008. Il Pdl perde più di sei milioni di voti, mentre il Partito Democratico riduce il suo consenso di tre milioni e mezzo di preferenze. Ma l’aspetto più interessante da analizzare è quello della non prevedibilità dell’elettorato. Un effetto prodotto dalla tendenza, da parte del singolo elettore, a non votare più per ideologia politica o culturale, ma vivere ogni singolo voto in maniera differenziata in base alla credibilità dei progetti proposti dalla politica.

Lei ha fatto riferimento ai voti persi da Pd e Pdl. Questa emorragia di consensi è riconducibile più a un voto di protesta o a una secca bocciatura della vecchia classe politica?
L’esito di questa tornata elettorale è stato, in gran parte, schiacciato da una pesante critica sull’attuale classe dirigente, soprattutto locale, e sulla tradizionale impostazione dei partiti come corpi semi chiusi. Se i politici fossero riusciti a chiudere la legislatura con la riduzione del numero dei parlamentari, l’abolizione delle province e l’introduzione di una nuova legge elettorale, probabilmente si sarebbe inviato un messaggio tranquillizzante all’elettorato e ceduto meno voti al Movimento 5 stelle.

Adesso non sarà facile recuperare i consensi perduti.
Secondo me è sbagliato il concetto di recupero. Non esiste più un elettorato di questo o quell’altro partito. C’è solo un elettorato in quanto tale, che decide in maniera molto più libera che in passato. Quindi non si tratta di recuperare ciò che era tuo, ma di lanciare una proposta politica credibile che meriti un voto.

Quanto hanno inciso la rete e i nuovi mezzi di informazione sull’esito di queste elezioni?
La partecipazione è sempre importante; più strumenti si hanno a disposizione e meglio è. Lo abbiamo visto recentemente con le primarie del Partito Democratico, dove la rete ha svolto un ruolo importante.
Il tema vero non è internet in sé per sé, ma di quanto la politica riesce a recepire ciò che avviene nel Paese e come registra i bisogni, gli impulsi e le volontà vere dell’elettorato. Poi se questo obiettivo lo si raggiunge girando per strada, utilizzando le nuove tecnologie o facendo i comizi, la differenza è solo formale. Grillo ne è un perfetto esempio: lui è riuscito a unire i mezzi tradizionali come le manifestazioni in piazza alle nuove piattaforme telematiche.

Visto il risultato ottenuto dal Movimento 5 stelle, sul web si è riaccesa la discussione sulla democrazia liquida. Quanto può essere utile ai partiti tradizionali questo nuovo modello organizzativo?
Gli input alla fase programmatica dei partiti possono arrivare in diversi modi: sondaggi postali o telematici, referendum consultivi o tramite le nuove piattaforme di gestione della democrazia liquida come Liquid Feedback. Quindi ben vengano tutte le forme di partecipazione diretta che aiutano a registrare le necessità della gente. La questione, però, non si deve affrontare come mera fotografia di pezzi del Paese. Fare politica non significa solo scattare delle istantanee di cosa vogliono i cittadini, ma vuol dire anche avere una visione globale che sappia mettere insieme i tasselli, unire le volontà contrastanti e formulare una risposta unitaria. È qui che interviene la politica.
Poi bisogna considerare che anche la democrazia online presenta delle criticità. Di fatto, alcune fasce di elettorato non hanno la possibilità di interagire con la nuova piattaforma. Mi riferisco alle persone anziane che non utilizzano i mezzi tecnologici e a tutte quelle zone della penisola che purtroppo, ancora oggi, non sono collegate alla rete.

L’attuale legge elettorale viene accusata di essere la maggiore responsabile dell’ingovernabilità di questo Paese. Quali modifiche andrebbero apportate per garantire un esecutivo stabile e uscire dal pantano?
Ogni legge elettorale premia o punisce qualcuno. Il punto non è ragionare su quale sia il migliore sistema elettorale in termini assoluti, occorre prefiggersi un obiettivo. Si può decidere che in un clima così frammentato serve una legge elettorale che produca maggioranze, quindi di tipo maggioritario, oppure si può procedere con un sistema che ritrae fedelmente tutti i rapporti di forze, lasciando poi al Parlamento l’incombenza di sciogliere i nodi.
Escludendo quest’ultimo, visto che Grillo ha dichiarato di non voler sostenere alcun governo, rimane il sistema maggioritario uninominale. Però anche questo rischia di riproporre una certa frammentazione. Quindi l’unico correttivo che si potrebbe introdurre è il doppio turno. In questo modo si costringerebbero le forze politiche, entro breve tempo dalle elezioni, a scegliere, tra i due più votati, il candidato migliore. Questo è il solo modo per definire nelle urne la maggioranza politica del Paese e raggiungere così il traguardo di un governo stabile.

Quindi riformare i meccanismi decisionali è il primo passo da compiere per riportare l’Italia in carreggiata?
Un impianto istituzionale che permette di prendere decisioni in maniera più chiara e semplice è fondamentale. Per fare questo basterebbe passare a un Parlamento monocamerale dove i deputati, ridotti della metà, possono dare o togliere la fiducia al Governo. Se a questo uniamo un drastico snellimento della macchina amministrativa, che continua ancora ad avere una multilevel governance tra comuni, province e regioni troppo piena di sovrapposizioni, si aiuterebbe lo sviluppo decisionale del Paese.

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