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Giugno - Agosto/2015 - Analisi
Un Giubileo “straordinario”
di Giancarla Codrignani

L'8 dicembre si aprirà il Giubileo straordinario
della Misericordia, indetto da Papa Francesco. Un momento
importante per il nostro Paese che accoglierà, durante l’arco
di undici mesi, milioni di pellegrini. Sullo sfondo,
dominante, il tema della sicurezza


Non sembra che ci sia molto da "giubilare". Eppure bisognerà darsi la carica di ottimismo che Papa Francesco sta cercando di comunicare con la forza della sua volontà di cristiano che sparge semi di pace anche nei deserti.
Non viviamo nella migliore delle fasi possibili della storia umana. Piangere sul latte versato non serve, ma i peccati di omissione vanno confessati. Per esempio fu certamente insensato il rifiuto quasi viscerale della proposta di Enrico Berlinguer per una politica di "austerità": erano gli anni Settanta del secolo scorso ed era ancora possibile prevenire le conseguenze peggiori dello squilibrio economico tra Paesi ricchi e Paesi poveri. L'Italia faceva - e fa, anche se i poveri sono diventati più numerosi - parte dei "ricchi" e qualche sacrificio proposto e accettato allora avrebbe risparmiato parte dell'esodo migratorio e molti dei brividi che scuotono le banche cariche di derivati.
L'egoismo non fa bene alla salute dei popoli, che sono venuti via via scendendo i gradini che conducevano ad una delle crisi storicamente più gravi perché, come dimostra il disordine finanziario perfino cinese, è globale. Sembra poi imperdonabile il ritardo con cui (non) stiamo realizzando l'Europa federale come l'avevamo sognata con Altiero Spinelli e vediamo ripresentarsi il fantasma inquietante del nazionalismo perfino nei Paesi nordici del welfare socialdemocratico. Il Medioriente e l'Africa hanno subito la crescita esponenziale di difficoltà e conflitti interni e procurati dalle ingerenze dell'Occidente, senza che gli interessi politici internazionali si accorgessero di aver alimentato solo sfiducia nelle popolazioni chiamate "in via di sviluppo". In fondo siamo stati interessati più alle vie del petrolio che all'espansione dei diritti.
Così oggi la stessa democrazia è a rischio e il Giubileo si aprirà con il timore degli attentati. La paura è una brutta bestia egoista che, quando contagia le "masse", si tiene a bada con difficoltà, anche perché non mancano mai gli sciacalli che se ne avvalgono. Perché oggi l'immigrazione produce conflitto e non è facile far capire che quando la storia rompe gli indugi per cambiare direzione, il nuovo, anche se si presenta in forme disordinate, va metabolizzato. Certamente era meglio prevedere e prevenire, ma gli europei sono 500 milioni: uno e due milioni in più non possono fare paura; basta impegnarsi insieme.
Bisogna anche distinguere: gli stranieri sono migranti, simili ai trenta milioni di italiani che più di cent'anni fa hanno ripetutamente cercato scampo dalla miseria (e simili anche ai giovani oggi respinti da Londra); ma sono sempre più rifugiati che, come Pertini o (terribile pensarci) come gli ebrei, cercano di sfuggire alla morte. Tra i Paesi europei gli italiani sono i soli che hanno conosciuto le due tristi esperienze: maltollerati come lavoratori stranieri, scomodi come fuorusciti ma accolti dai Paesi democratici che giudicavano il fascismo un pericolo comune per la libertà.
L'Italia di oggi non solo nel suo governo - che ha fatto quel che poteva coraggiosamente, per lunghi mesi da solo - ma con tutti i cittadini democratici deve essere in prima linea a sostegno dei diritti umani, proprio per aver conosciuto sulla propria pelle le stesse pene che oggi colpiscono altri. Angela Merkel si è fatta leader dell'Unione non più sotto la bandiera solo del fiscal compact, bensì dell'accoglienza umanitaria dei profughi e lo ha fatto con personale rischio politico, dato il rigurgito nazionalista presente in una Germania che va al voto l'anno prossimo. Ma nessuno si può tirare indietro quando il Mediterraneo è un cimitero e i siriani fuggono dalla guerra di un Isis ormai spietato che giustifica ogni violenza imponendo un'interpretazione arbitraria e, a lungo termine, suicida del Corano.
Il Giubileo ci è stato trasmesso dalla Bibbia: la tradizione ebraica ogni 50 anni stabiliva un anno di riposo della terra, che veniva redistribuita mentre gli schiavi venivano liberati. Nel Medioevo Papa Celestino V indisse la Perdonanza per concedere a chi si pentiva dei peccati di ottenere l'indulgenza; ma fu Bonifacio VIII che istituì la pratica del pellegrinaggio alle basiliche romane a partire dal 1300 e Dante racconta che il numero dei pellegrini fu così imponente che se ne dovette regolamentare il senso di marcia sul ponte di Castel Sant'Angelo. Il Giubileo divenne poi pratica venticinquennale e i peccatori che volevano essere (e apparire) perdonati dalla Chiesa ottennero le indulgenze con elargizioni così poco cristiane da scandalizzare Lutero e causare la Riforma.
Papa Francesco ha indetto un Giubileo "straordinario" (anche Giovanni Paolo II e Benedetto XIV erano ricorsi all'eccezione) per celebrare i cinquant'anni dalla fine del Concilio Vaticano II; ma è davvero straordinario il richiamo alla misericordia. Che non è quella erogata da un Papa o da qualunque confessore al peccatore confessato e pentito: Francesco vuole che cristiani e non cristiani sentano che la bontà di Dio impegna tutti ad essere misericordiosi con se stessi, con gli amici e con i nemici.
Il monito è sceso su una Capitale sconvolta da scandali e corruzione, da dissesti di vie e di amministrazioni. I romani dai tempi di Numa ne hanno viste di peggio, ma una Roma così fa scandalo: ci può essere misericordia per essere stati invasi dalle mafie e dai politici corrotti nell'incoscienza complice dei cittadini? Speriamo che tutti, ma proprio tutti e non solo i rappresentanti del popolo regolarmente eletti, se ne rendano conto. E si pentano. E tornino a fare politica a prevenzione dal male. Senza chiedere che ci pensi la Polizia.
O l'Esercito. Debbo dire che, pur non essendo insensibile ai rischi che corre una città piena di pellegrini mentre l'Isis ha la fissa ideologica di distruggere "i crociati" e le grandi folle offrono le condizioni migliori alla follia di qualche fanatico magari nostrano, tuttavia non mi è piaciuta l'assunzione di 2.500 poliziotti dall’Esercito. La storia non serve a nulla, tanto è vero che un allora ministro della Difesa come D'Alema ha voluto il riconoscimento dei Carabinieri come Quarta Arma dell'Esercito italiano e già allora mi venivano in mente i giovani appuntati che si facevano qualche illusione al tempo delle manifestazioni e delle audizioni parlamentari dei poliziotti che lottavano per ottenere, nel 1981, la smilitarizzazione. L'assunzione di personale civile qualificato a tutelare l'"ordine pubblico" rappresenta certamente un onere per lo Stato, ma garantisce meglio le finalità funzionali della prevenzione dei reati. E, soprattutto, non lederebbe ancora una volta il principio istituzionale che la legge 121 ha democraticamente fissato riconoscendo l'autonomia del lavoro, finalmente sindacalizzato, del personale di Polizia, non a caso dipendente dal Ministero competente che è quello dell'Interno e non della Difesa. Va bene che è il tempo della misericordia, ma le omissioni contano: i governi dovrebbero almeno riconoscere i loro peccati…

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