Prima di scrivere sui tragici fatti che hanno portato alla morte di Nicola Calipari, devo fare una premessa. Io conosco bene Giuliana Sgrena. E’ una collega giornalista che si occupa di politica estera da più di venti anni e in particolare è esperta di problemi dell’Iraq. Prima di occuparsi degli effetti di questa assurda e anomala guerra che per ora sta solo moltiplicando le morti e la sofferenza di migliaia di persone, si era occupata dell’Afghanistan, della Somalia, del conflitto in Israele, di Medio Oriente in genere. Era stata anche in altri paesi africani, ha cercato di vedere sempre di persona le cose, da vicino, evitando il più possibile i filtri, le veline sempre interessate dei molti centri di potere, sia occidentali, sia dell’altra parte. E’ sempre stata contro il terrorismo, lo ha scritto in innumerevoli articoli e in saggi raccolti in libri. Giuliana non ha mai accettato la posizione più semplice, la giustificazione ovvia, quella che ti viene più facile per fare scena nei dibattiti.
Sta qui la sua “passione”, il suo modo di intendere questo difficile mestiere del giornalista, un mestiere che vuol dire tutto e niente. Puoi essere infatti un “velinaro”, un “prezzolato”, ma anche un “moralista” o “moralizzatore”, un “giornalista di inchiesta”, uno “specialista ed esperto”, senza dare a questi termini chissà quali accezioni. Il mestiere ti permette mille cose. Sta a te scegliere. Sta all’etica individuale dare il senso a quello che si fa. Il giornalista può adeguarsi a trascrivere ogni giorno messaggi preconfezionati, magari di una parte politica, oppure può tentare di decifrare tra migliaia di input che arrivano. Nessuno ti scodella la verità, i fatti, così come sono. L’informazione – abbiamo scoperto non certo con il caso Giuliana – non è un prodotto che acquisti al supermercato, non è un giocattolo precostruito, di cui ti forniscono i pezzi come nel modellismo. L’informazione è prima di tutto ricerca, studio, fatica. E’ qui che sta la “passione” di tanti giornalisti che cercano di garantire un diritto umano fondamentale. Si dice sempre: senza informazione la democrazia non esisterebbe. Potremmo rovesciare la frase con una domanda: con un’informazione pilotata e monca, la democrazia è a rischio?
Ho voluto fare questa lunga premessa perché il caso dell’operazione che ha portato alla liberazione di Giuliana Sgrena e alla morte di Nicola Calipari ci ha posto drammaticamente di fronte a problemi di fondo della nostra democrazia. Solo a una certa distanza di tempo avremo modo di capire meglio quello che è successo. Al momento in cui scriviamo sono state appena avviate le inchieste della magistratura. Speriamo di conoscere i fatti, anche se qualche malizioso dubita che sapremo mai la verità, mentre qualcun altro, più ottimista, confida nella coscienza di qualche militare americano, qualcuno che magari ha capito che ci sono stati degli errori, qualche salto nella catena di comando e decida di raccontarlo ai magistrati e ai militari che svolgeranno le inchieste. Nel frattempo però noi possiamo provare a riflettere. La prima considerazione riguarda ancora Giuliana. E’ stato uno spettacolo non certo edificante quello di vedere una nostra collega trasformata in una specie di eroina nei giorni tragici del rapimento e in una nemica dello Stato, una “spia”, una che fa il doppio gioco nei giorni della liberazione. Evidentemente ci sono dei meccanismi perversi nella formazione dell’opinione pubblica che andrebbero affrontati. L’informazione è alla base della democrazia e la democrazia è soprattutto un modello di convivenza. L’informazione non può essere ridotta a spot e la democrazia non può essere trasformata in una specie di Colosseo virtuale in cui qualsiasi personaggio che si spaccia da imperatore può alzare o abbassare il pollice per decretare la morte civile di una persona. Davanti al popolo urlante.
La seconda considerazione riguarda Nicola Calipari. Mi scuso con i lettori di questa rivista di Polizia per avere rovesciato l’ordine. Avrei dovuto cominciare da lui, ma ho preferito cominciare dalla Sgrena semplicemente perché la conosco e posso dire cose dirette che nessuno mi ha raccontato. Nicola Calipari non l’ho conosciuto personalmente, ma ho avuto modo di parlare con persone che lo hanno frequentato e mi sono letto i vari passaggi della sua bella carriera in Polizia. Mi sono fatto un’idea di una persona davvero speciale, un uomo che merita tutti i riconoscimenti e i tributi che gli sono stati fatti. Nicola Calipari è stato un grande esempio per tutti i suoi colleghi e ci ha insegnato molto anche a tutti noi. Era un “servitore dello Stato” nel senso più alto del termine e quindi – anche per lui – è stato davvero deprimente (avrei voluto usare un altro termine) vedere come per qualche commentatore da salotto è passato dalla categoria dell’Eroe a quella del funzionario poco avveduto, che commette errori nel suo lavoro per disattenzione. Tutto nel giro di poche ore. Perché questi commentatori hanno cambiato idea così rapidamente? Chi li ha guidati nei loro giudizi? Quello che è certo è che molti, invece di interrogarsi sulla gravità del fatto e sulle conseguenze per la politica internazionale, sono andati a cavillare sulle telefonate che avrebbe fatto o non fatto quel tragico venerdì Nicola Calipari. E’ lo sport preferito. Si parla di calcio? Diventiamo tutti esperti di calcio. Si parla di Polizia? Diventiamo tutti esperti di Polizia. Gente che non ha mai preso in mano una pistola, che discetta sulla balistica. Che spettacolo.
Di queste cose ci occuperemo nel prossimo numero della rivista. Abbiamo già chiesto contributi per capire meglio. Avremo modo quindi di sviluppare i ragionamenti che sicuramente a voi interessano di più. Possiamo perciò annunciare solo alcuni temi che tratteremo. Il primo riguarda la questione dei riscatti e della diversa linea di comportamento scelta dall’Italia rispetto a quella americana e inglese. La seconda questione riguarda il terrorismo islamico. La guerra e le azioni che si sono messe in atto sono davvero il modo migliore per combattere il terrorismo, per fermare gente senza scrupoli che fa strage dei nemici, ma anche dei civili innocenti? Quali sono gli effetti (e gli interessi) reali di questa “guerra”? E’ possibile paragonare – come è stato fatto – la lotta contro le tirannie moderne alla lotta contro il nazifascismo? E inoltre cominceremo ad affrontare la questione più specifica per noi: come sta cambiando l’attività di Polizia nelle società contemporanee e come si intrecciano ormai in modo indissolubile tutte le questioni che riguardano la sicurezza, l’ordine pubblico e l’attività di intelligence. Il prossimo numero lo dedicheremo interamente a Nicola Calipari, al suo modo di intendere il mestiere del poliziotto. Vogliamo capire perché è morto. Perché è stato fermato da quell’ultimo ostacolo fuori programma, quel posto di blocco “mobile”, che non era previsto. E’ il nostro modesto modo di ringraziarlo, di rendergli onore. E magari di provare a dare a tutti noi nuove speranze nella capacità dell’uomo di risolvere i conflitti usando le armi della civiltà.
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