Sulle cause della morte di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso in Iraq durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, è ancora buio pesto. Dalle tante anticipazioni non è emerso finora alcun elemento certo, mentre la Commissione di inchiesta americana ha diramato due notizie in apparente contraddizione tra loro. Ad un certo punto, i generali americani hanno fatto sapere che l’inchiesta era ormai chiusa e che non si erano rintracciate responsabilità da parte di nessuno. Sarebbe stato dunque un incidente. Poi però, poche ore dopo, fonti americane hanno fatto sapere che l’inchiesta sarebbe continuata, o che avrebbe avuto comunque un supplemento. Proprio in quei giorni era in visita ufficiale negli Usa il ministro degli Esteri Gianfranco Fini, che ha incontrato anche Condoleza Rice.
L’altra cosa chiara - fino a questo punto - è che l’inchiesta dei magistrati italiani risulta praticamente bloccata. L’auto su cui viaggiavano Calipari, Sgrena e il terzo funzionario del Sismi, non è mai arrivata in Italia e i magistrati italiani hanno voluto esprimere ufficialmente e pubblicamente il loro stato d’animo. Sul Corriere della Sera del 19 aprile è stato pubblicato un articolo che esprime infatti tutto il disappunto della Procura di Roma.
Sergio Romano, sullo stesso quotidiano, rispondendo a una lettera, ha scritto che non ci si deve meravigliare troppo degli accadimenti: gli americani non processeranno mai i loro soldati. In queste circostanze, spiega Romano, prevale "il desiderio di non far nulla che dia ai soldati la sensazione di non essere compresi e protetti". Fra i cosidetti "danni collaterali" (che poi sarebbero tragiche uccisioni di uomini e donne, come nel caso di Calipari e di decine di iracheni) e il morale delle truppe, i comandi americani "scelgono senza esitare il morale delle truppe".
Sergio Romano specifica anche molto bene che questo atteggiamento si deve attribuire ai comandi e non al governo americano, "perché questa linea è voluta dai vertici militari del Paese e imposta, in alcune circostanze, alla dirigenza politica". E’ successo infatti tante volte, qui da noi e nel mondo intero. Chi non ricorda, tanto per fare un esempio abbastanza recente e che ci riguarda, la vicenda del Cermis?
Il commentatore del Corriere, conclude la sua risposta al lettore con un consiglio al governo italiano, quello di cominciare a prepare il ritiro delle truppe dall’Iraq, magari nel momento in cui verrà approvata la Carta costituzionale. Sul mistero della morte di Calipari, Romano non si spinge oltre. Non propone illazioni e non si sbilancia come invece hanno fatto altri organi di stampa che hanno fatto capire di sapere tutto. Ci sono stati anche dei commentatori che si sono spinti oltre le certezze, dipanando dei veri e propri atti di accusa nei confronti dei servizi italiani e perfino contro Nicola Calipari, accusato di aver commesso errori e di non aver informato i servizi e i vertici militari Usa. Tutte illazioni. Spettacoli per certi versi anche pietosi.
Ovviamente a noi non interessa discutere le opinioni dei vari articolisti o degli esperti più o meno improvvisati. Come rivista che si occupa da sempre di problemi di Polizia e sicurezza, ci interessa piuttosto sapere che cosa è successo veramente quel giorno, il 4 marzo in Iraq. Per questo, dopo aver dedicato la copertina del numero precedente a Nicola Calipari, abbiamo deciso di presentare ai nostri lettori un ampio servizio sul "caso Calipari". Leggerete così in questo numero articoli di ricostruzione della vicenda e articoli di ricordo e commento sull’uomo e il funzionario Calipari. Abbiamo cercato materiali seri sui quali tentate di ricostruire i tasselli di un puzzle apparentemente inestricabile. E abbiamo cercato di intervistare persone che ci possono aiutare a capire qualcosa di più dei fatti. Dalla nostra piccola inchiesta - che ovviamente si è dovuta fermare un po’ dopo la metà del mese di aprile quando abbiamo inviato la rivista alle stampe - emergono degli spunti che potrebbero essere utili. Intanto emerge una figura del funzionario Calipari, un uomo che ha speso tutta la sua carriera in Polizia e che ha ricoperto sempre incarichi di grande responsabilità. Poi emergono spezzoni di una possibile cronaca definitiva degli avvenimenti. Abbiamo per esempio cercato di ricostruire il viaggio che ha fatto quella tragica sera la Toyota di Calipari. Abbiamo anche raccontato la strada della morte, quell’autostrada che dalla città porta all’aeroporto di Bagdad cercando di disegnare su una cartina il percorso e il luogo della sparatoria. Abbiamo poi intervistato il direttore del manifesto che ha passato un mese intenso in contatto con i servizi e con le massime autorità del governo italiano impegnato nella liberazione di Giuliana Sgrena. E abbiamo anche chiesto di scrivere a poliziotti o ex poliziotti che conoscono le azioni sul campo. Infine abbiamo cercato di mettere insieme gli spezzoni di verità che sono emersi sui media sia italiani che americani. In uno dei servizi che pubblichiamo si cita per esempio una radio americana che ha parlato di un gruppo di contractors, di militari privati, che sarebbero stati i veri protagonisti della sparatoria. Si tratterebbe di un gruppo alle dirette dipendenze del capo dell’intelligence americana, Dimitri Negroponte. Una versione che non è mai stata smentita dal Pentagono, ma che non è stata presa in considerazione - almeno finora - da nessuno. Come tutti, siamo in attesa. Nessuno sembra credere realisticamente che si arrivi mai a una verità. Ce lo ha spiegato Sergio Romano. Ma le rogatorie italiane ci sono. Cominciano anche a spuntare pezzi di ricostruzione dai verbali degli interrogatori. Ha parlato, per esempio, anche uno dei protagonisti del tragico epilogo della liberazione di Giuliana Sgrena. L’opinione pubblica è avvertita. Calipari si merita tutta la verità.
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