Parliamo di televisione, ovvero della società in cui viviamo, e che – chi più e chi meno – abbiamo foggiato secondo i nostri gusti. O meglio, secondo i gusti di qualcuno che, per risparmiarci il disturbo, si è assunto tale compito. Qualcuno, chi? Finora la maggior parte di noi non si curava di saperlo, o aveva solo dei vaghi sospetti, spesso infondati. I politici? Figuriamoci, i politici fanno già fatica a capire loro stessi quello che vogliono, o dicono di volere. Gli industriali? I banchieri? Qualche laico impenitente punterà il dito sulla Cei. Tutte ipotesi errate. E possiamo dirlo con certezza perché ora sappiamo, e ne parlano a iosa i media, prima apparentemente ignari. E se la verità è stata improvvisamente rivelata al volgo, lo dobbiamo al presidente di Mediaset Piersilvio Berlusconi e alle reazioni, a volte scomposte, seguite alla sua decisione di acquistare una rilevante quota di Endemol. Ora sappiamo che noi tutti, e non solo noi italiani, non viviamo in una società, ma in un format. Potrà piacere o meno, comunque è un dato di fatto.
Il re dei format è l’ormai famoso John de Mol, 52 anni, un olandese di bell’aspetto, dall’aria tranquilla, ma dotato di un’astuzia tradizionalmente attribuita ai mercanti levantini. Comincia la sua carriera lavorando in una radio pirata, diventa prima giornalista sportivo e poi produttore per la Tv pubblica olandese, e nel 1979, a 24 anni, fonda la John de Mol Productions. Una casa di produzione come tante, ma con una differenza: lui. John de Mol è un uomo colto, gentile, modesto, abitudinario, vive con la sua compagna a Hilversum, in una casa che ha da molti anni, va sempre in vacanza in un remoto villaggio portoghese, non fa vita mondana. Il contrario del magnate delle comunicazioni alla Rupert Murdoch. L’olandese ha però una caratteristica che lo distingue: ritiene di sapere quali siano i desideri dei suoi simili, ed è convinto che questi desideri si collochino molto in basso. In realtà anche altri cercano di navigare su questa rotta, ma John de Mol ha un talento, che potremmo definire “diabolico”, nel mettere insieme un mix di banalità, volgarità, voyeurismo e crudeltà, che si rivela vincente. Nel 1994 la John de Mol Productions si unisce alla casa di produzione olandese di Joop van den Ende, inventore di “Holiday on Ice”, e nasce la Endemol.
L’azienda produce format: inventa idee di spettacoli di intrattenimento, ne definisce le linee generali, delle sceneggiature di massima, brevetta il tutto, e lo vende. Il primo grande successo a livello planetario sarà, nel 1997, il “Grande Fratello”, ispirato al romanzo di George Orwell e adattato alla linea filosofica di John de Mol, diffuso in 19 Paesi, in Italia dal 2000. Anzi, “Big Brother” è molto più di un successo, rappresenta per le televisioni pubbliche e private il punto di partenza, il massimo e fulgido modello, del “reality”. E da allora per la Endemol il problema è solo inventare abbastanza format per soddisfare le richieste. Insomma, il marchio diventa una garanzia. Probabilmente non di qualità, ma in televisione la qualità viene dopo, molto dopo, gli indici di ascolto e lo share.
Nel 2000, proprio quando si trovano sulla cresta dell’onda, John de Mol e Joop van den Ende, decidono di vendere Endemol alla spagnola Telefonica per l’equivalente di oltre 5 miliardi di euro: una cifra allora definita “pazzesca”, che nella strategia della società iberica è giustificata dall’intenzione di utilizzare il materiale della Endemol anche per i cellulari di seconda generazione.
Un flop, pesante per la compagnia telefonica spagnola, ma provvidenziale per l’igiene mentale del vecchio (oh, quanto vecchio, e un po’ rincitrullito) continente.
Da parte sua, la Endemol, sotto guida spagnola, continua a prosperare, e del resto John de Mol mantiene la direzione delle attività creative fino al 2004; dopo essere diventato di colpo il primo tra i miliardari olandesi – entrando nella classifica Forbes dei 500 più ricchi al mondo – ha creato una sua televisione. Dato che “Mol”, in latino (e in italiano) si traduce “Talpa”, la chiama Talpa Tv, e se ne serve come laboratorio per sperimentare i programmi escogitati da lui e dai suoi collaboratori. Così la Endemol ha continuato a sfornare idee di reality in tutte le salse, avidamente contesi dalle televisioni di oltre cento nazioni, e ha aperto 25 filiali all’estero. Anche in Italia, naturalmente.
Una macchina per produrre soldi, un’autentica cornucopia, talmente cresciuta che quest’anno Telefonica ha deciso di venderla, dando luogo a una gara di aspiranti acquirenti alla quale la Rai non ha partecipato, non sappiamo se per pudore o per carenza di fondi. E ha vinto la cordata formata da Mediaset, Goldman Sachs, e (di nuovo lui) John de Mol. L’astuto olandese, che a modo suo ha il dono della sincerità, non ha nascosto di aver pagato le azioni della società da lui fondata la metà di quanto aveva riscosso vendendole sette anni fa.
Nella sostanza si tratta di un episodio nel quadro del processo di concentrazione dei poteri mediatici in atto su scala mondiale: uno dei maggiori protagonisti di questa offensiva è il già citato Rupert Murdoch. Un processo inarrestabile? Così affermano quelli che dovrebbero intendersene. Nel segno della globalizzazione, e nel caso della Endemol ci troveremmo di fronte a una concentrazione non solo economica, ma anche delle “idee”, cioè dei format. Di qui le angosce suscitate nella nostra televisione pubblica dal fatto che la rivale Mediaset entra da comproprietaria nella “fabbrica delle meraviglie”: in effetti, o programmi Rai di maggiore successo sono targati Endemol: come “Affari tuoi”, rifacimento dell’antico gioco delle tre carte, arricchito dalla presenza di un conduttore che, chiunque sia, deve comportarsi come se fosse ai limiti di una crisi isterica; o “La prova del cuoco”, una banale rubrica di cucina, enfaticamente truccata da gara gastronomica; o “Che tempo che fa”, apparentemente tra i meno indecorosi, ma presto scivolato nella sistematica adulazione di ogni ospite intervistato. Va detto che John de Mol ci tiene a precisare che i format venduti dalla sua azienda sono degli schemi, e poi ogni acquirente li adatta al proprio pubblico. In parole povere: “Non tutta la banalità e la volgarità che vi sorbite è opera mia”.
Comunque l’olandese lascia intendere che, senza apparire troppo, il “grande fratello” della Endemol sarà di nuovo lui. Prevede un nuovo rilancio (“punteremo di più sui contenuti digitali e sui multimedia”), e la “nuova frontiera” del (udite, udite!) “soap reality”, che sta sperimentando sulla sua tv: una “Golden cage”, una gabbia dorata nella quale i reclusi volontari vivono non cento giorni, come nel “Grande Fratello”, ma all’infinito. Vince chi resiste di più. E intanto la Endemol spinge l’acceleratore del “reality-choc” con uno show che ha come protagonisti una malata terminale e tre dializzati.
John de Mol ha assicurato, “la mano sul fuoco”, che Endemol non interromperà, né ridurrà, i suoi rapporti di fornitore di “idee” con la Rai. Ma se avvenisse il contrario? Potrebbe essere la televisione pubblica a decidere di cambiare strada, per uscire dalla gabbia dei format.
|