home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 13:26

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
Gennaio/2008 - Editoriale
Come evitare un futuro di immondizia?
di Paolo Pozzesi

Cinque milioni di tonnellate di ecoballe. A dirlo (e ancora peggio a scriverlo) sembra una presa in giro. Eppure le ecoballe sono una cosa seria, gonfie di immondizia, sigillate in contenitori di plastica rettangolari, e ammucchiate a formare delle piramidi di modello azteco. Da alcuni anni attendono di essere avviate, per il previsto smaltimento, a dei termovalorizzatori. I quali sono anch’essi, in un certo senso, un’ecoballa. Primo, perché lì dove dovrebbero essere non esistono. Secondo, perché comunque non si chiamano così. L’Unione Europea ha vietato di usare questo termine, che ha libero corso (non nei documenti comunitari) solo in Italia: termovalorizzatore fa pensare a un meccanismo che conferisce valore a dei materiali che altrimenti non ne avrebbero. In realtà si tratta di inceneritori, quelle centrali periodicamente accusate di inquinare sia la salute degli esseri viventi, sia l’ambiente e l’atmosfera.
Nella “crisi della monnezza” che da quattordici anni di commissariamenti, con origini ancora più lontane nel tempo, e gli immancabili inserimenti della criminalità organizzata, pesa su Napoli e la Campania, e ha avuto dal dicembre scorso un violento ritorno di fiamma, la mancanza di “termovalorizzatori” si è imposta come l’elemento fondamentale. Anche se non risulta molto chiaro come sia stato possibile allestire quell’enorme quantità di ecoballe (forse anche a queste bisognerebbe trovare un nome più dignitoso) prima di essere in grado di bruciarle.
A dire il vero, in un’intervista a la Repubblica del 6 gennaio scorso abbiamo trovato una parziale spiegazione fornita da Alfonso Pecoraro Scanio, verde e ministro dell’Ambiente, con la virtuosa precisazione che i rifiuti non dipendono dal suo dicastero ma dagli Enti locali: “Il più grande appalto nella storia del trattamento dei rifiuti, fu assegnato all’Impregilo, in evidente conflitto d’interessi. Se l’Impregilo doveva fare gli inceneritori, non aveva evidentemente alcun interesse alla raccolta differenziata. Invece di fare Fos, Frazione organicamente stabilizzata, e Cdr, Combustibile derivato dai rifiuti, hanno creato 5 milioni di tonnellate di ecoballe, sulle quali si vedono svolazzare i gabbiani, a riprova che lì dentro c’è troppo organico, non è un combustibile. Eppure, le ecoballe sono state date in garanzia alle banche inglesi, come combustibile, col relativo valore patrimoniale. Hanno imbustato i rifiuti facendo credere che fossero oro. Come Totò quando vendeva la Fontana di Trevi”. Ma non furono dei responsabili politici ad assegnare l’appalto? “Sì – risponde il Ministro – di destra e di sinistra, per un piano che non funzionava, cui sono state messe troppe pezze, costato forse quasi un miliardo di euro, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Io sono sempre stato contrario, ma non dico ‘ve lo avevo detto’, perché la tristezza è troppa e non è il momento di cercare le responsabilità, ma di togliere i rifiuti dalle strade”.

Premesso che cercare le responsabilità ci sembra sempre doveroso (oppure, chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, e… scurdammoce ‘o passato’?), il Ministro vuole dire che nella raccolta e nello stoccaggio di quell’imponente massa di rifiuti non è stata effettuata preventivamente una differenziazione tra materiali organici, riciclabili, e combustibili. In effetti, dicono gli esperti (quelli favorevoli ai termovalorizzatori), il sistema funziona “a patto che siano rispettate le regole della corretta gestione, selezionando prima quello che può essere recuperato (raccolta differenziata, depurando la parte che non può essere utilizzata (componente organica), monitorando i sistemi di filtraggio, controllando i livelli di emissione delle sostanze tossiche. E’ fondamentale quindi creare un Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti) di qualità”.
Nei Paesi europei la diffusione degli inceneritori – in totale 354 - varia dai 112 della Francia (con uno smaltimento di 11.965.800 tonnellate di rifiuti bruciati ogni anno) ai 3 della Gran Bretagna (1.070.000). La Germania ne ha 60 (16.787.000), la Svizzera 31 (3.150.000), l’Olanda 11 (4.412.000), la Spagna 8 (1.100.000). In Italia ne abbiamo 50 (3.490.000), e tra questi spicca quello di Brescia, il più grande in Europa, che nel 2006 è stato dichiarato il miglior impianto del mondo dal Waste Energy Research and Technology Council, organismo tecnico-scientifico promosso dalla Columbia University: può bruciare 750.000 tonnellate di rifiuti all’anno. Ma le associazioni ecologiste, che ne chiedono la chiusura per motivi di salute e ambiente, sottolineano il fatto che la provincia di Brescia è agli ultimi posti per quanto riguarda la raccolta differenziata.

L’emergenza campana sembra collocare il problema dei rifiuti urbani – quelli industriali costituiscono un altro tema, altrettanto grave – tra le due opzioni degli inceneritori e delle discariche. Come dire, la “monnezza” o la bruci, o la nascondi. Dagli inceneritori, si fa notare, è possibile ottenere energia elettrica e termica: è vero, ma a costi mascherati dagli stanziamenti pubblici, grazie a una norma che considera i rifiuti “energia rinnovabile”, come quella solare e eolica. E i rischi di intossicazione sono tutt’altro che ipotetici. Per contro, la raccolta differenziata si prospetta come una seria soluzione, a condizione di essere capillare, porta a porta, e incentivata. E va detto che si sono avviati su questa strada a San Francisco, New York, Sidney, Nagoya (Giappone), per fare solo qualche esempio. Mentre risultati confortanti sono stati raggiunti anche in piccoli centri delle Regioni italiane, compresa la Campania. Si possono inoltre prevedere impianti di smaltimento diversi dalla termodistruzione, come la dissociazione molecolare, che evita l’emissione di sostanze nocive (e recupera energia sotto forma di gas di sintesi). Andando ancora oltre, molto oltre, si potrebbero ipotizzare dei sistemi di produzione-consumo che riducano la proliferazione dei rifiuti. Ma fermiamoci qui con un ottimismo che purtroppo è solo una speranza.
Tornando alla crisi attuale, per correre ai ripari a Napoli e dintorni (ma non occorreva una palla di vetro per prevedere il disastro di Pianura e delle sue sorelle, e dei fiumi di rifiuti che invadono le strade) si è fatto ricorso a Gianni De Gennaro, ex Capo della Polizia, capo di gabinetto del ministro dell’Interno.
Una scelta che appare senza dubbio indovinata, ma per quanto sia bravo, con i poteri necessariamente limitati di un commissario (sia pure “super”), De Gennaro in quattro mesi potrà elaborare solo i primi interventi per frenare una situazione che si è trascinata durante decenni. E che – se si vuole pensare al futuro - richiederà scelte anche in campo nazionale, perché la “mondezza” non è un’esclusiva della Campania.
Scelte oculate, e, magari, coraggiosamente innovative. Se possibile, senza troppe ecoballe.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari