“I sindaci possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, previa intesa con il Prefetto, che ne informa il Comitato provinciale, al fine di segnalare agli organi di Polizia locale o alle Forze di polizia eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana o situazioni di disagio sociale”: così recita il paragrafo che - nel decreto legge anti-stupri legittima quelle “ronde” sulle quali tanto si è discusso e si continua a discutere. Anche se a prima vista verrebbe da dire che non occorre certo un decreto legge per consentire a ogni cittadino - che appartenga o no a una qualsiasi associazione -, di denunciare illeciti di qualsiasi genere. Ma, ovviamente, la questione è ben più complessa, e si configura come un nuovo tema di dibattito socio-politico, magari con un occhio - come sovente accade - alle prossime elezioni.
Il 19 febbraio scorso il ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva parlato alla Camera di un “moltiplicarsi di iniziative spontanee” che “deve indurre governo e Parlamento a regolare il fenomeno”. Insomma, queste ronde già esistono da tempo, e sono in fase di crescita. Al di là della difficoltà di stabilire in quale misura siano veramente “spontanee” (ma probabilmente il Ministro è meglio informato), esse pongono un problema che ha varie facce: l’innegabile diritto dei cittadini di riunirsi in associazioni; la definizione delle attività e dei comportamenti di queste associazioni, e, a tale proposito, la loro eventuale “intrusione” in ambiti che sono prerogativa di organi istituzionali; il rischio che determinate attività provochino nella società civile confusioni, turbative, o peggio; e, infine, la scelta fra il vietare drasticamente ogni attività che si presti legittimamente a dubbi sui suoi fini e/o sui suoi esiti, oppure cercare di regolamentare il tutto con un’apposita legge.
Per le ronde si è scelta quest’ultima soluzione. Anche se il ministro della Difesa Ignazio La Russa, promotore dell’uso dei militari in funzione di appoggio alle Forze di polizia, ha più volte espresso la sua contrarietà: “Niente decreti sulle ronde, sono una cosa troppo delicata”. E ancora: “Non mi piace il termine, fa pensare a persone che girano col bastone padano o tricolore”. Una garbata stoccata al ministro Maroni, che, pur non essendo sempre stato un entusiasta sostenitore delle ronde, avrebbe avuto qualche difficoltà a negare loro un riconoscimento dato che in maggioranza sembrano essere organizzate dalla Lega. E agli ex amici della Destra di Francesco Storace, a loro volta attivi in questo settore soprattutto a Roma e dintorni, tanto da aprire in proposito una polemica con il sindaco Gianni Alemanno, come La Russa esponente di Alleanza Nazionale.
Tornando al decreto, la lista delle associazioni abilitate a questa attività saranno tenute e controllate dai Prefetti, il che, secondo il ministro Maroni, sarebbe una garanzia sufficiente per quanto riguarda la rispettabilità dei “rondisti”. Un requisito auspicabile, ma certo non sufficiente: la sicurezza, in tutti i suoi diversi aspetti, richiede esperienza e professionalità che, anche con le migliori intenzioni, non possono essere acquisite in qualche settimana, per poi praticare la sicurezza come attività part-time. I sostenitori, e gli ottimisti, la chiamano “sicurezza partecipata”, e qualcuno sostiene che si tratterà soprattutto di ex carabinieri e ex poliziotti. Per il momento non sembra che le cose stiano così: in realtà la maggioranza delle ronde esistenti, e di quelle che si stanno formando, ha, in forma diretta o indiretta, una etichetta politica. E, senza andare a cercare sgradevoli riferimenti nel passato, è indubbio che questo può suscitare sospetti e tensioni.
“Un’azione di questo tipo è impraticabile sull’impianto sicurezza che opera nel nostro Paese”: il giudizio espresso sulle ronde dal Cocer (organismo di rappresentanza) dei Carabinieri è netto e preciso, e concorda con quello di tutti i sindacati della Polizia di Stato. Il comunicato del Cocer chiede quelle risorse economiche “assegnate ormai da anni in misura sempre minore dalle varie Finanziarie alle Forze dell’ordine”, sostenendo che “non si possono istituire ronde di vigilanza quando tra poliziotti e carabinieri mancano quasi diecimila uomini”. “Non è così che si risolvono i problemi della sicurezza”, e l’organismo di rappresentanza dell’Arma sottolinea due esigenze fondamentali: “L’incremento consistente delle risorse economiche al fine di migliorare gli standard operativi, logistici e tecnologici delle Forze di polizia; la costruzione immediata di nuovi istituti di pena al fine di scongiurare l’ipotesi di un nuovo indulto, vanificando i notevoli sacrifici di magistrati, poliziotti e carabinieri”.
Sullo stesso argomento, vi era già stato un appello rivolto al presidente della Repubblica di sei sindacati della Polizia (Siulp, Silp-Cgil, Siap-Anfp, Ugl, Consap-Italia sicura, Coisp) esprimendo “massima preoccupazione perché lo Stato sta per rinunciare a una sua funzione irrinunciabile, la gestione della sicurezza”. E Nicola Tanzi, segretario del Sap, ha messo in luce le difficoltà che si creeranno con il riconoscimento ufficiale delle ronde: “I centralini di questure e comandi dei Carabinieri, così come i numeri di emergenza, sono intasati dalle chiamate di chi segnala situazioni e chiede l’intervento delle Forze dell’ordine. Noi non riusciamo a fare fronte, e quando non arriviamo in tempo c’è qualcuno che interviene da solo. Una spirale pericolosa che va fermata con la massima urgenza”. E inoltre ci si chiede quale macchina organizzativa si dovrà realizzare per coordinare e controllare tutte le ronde di tutta l’Italia, per seguirne l’operato, per avere un quadro complessivo, preciso e continuamente aggiornato della loro attività.
I pareri naturalmente possono essere diversi, ma se si vuole discutere seriamente di sicurezza sarebbe opportuno - evitando anzitutto di alimentare un clima di psicosi, di paura irrazionale e controproducente - guardare alla realtà quale è in concreto. Il problema indubbiamente esiste, e, aggiungiamo, è sempre esistito. In questo senso sia i “buonismi” sia le “facce feroci” sono fuori luogo. Il problema nel corso degli ultimi due decenni è venuto assumendo aspetti nuovi, perché, non solo in Italia, le società sono cambiate, si sono trasformate, anche a causa dell’immigrazione, ma non solo per questo motivo. La sicurezza è un diritto, però dovremmo sapere che, purtroppo, non tutti i diritti sono automaticamente disponibili come se piovessero dal cielo.
Per quanto riguarda la sicurezza nel nostro Paese vi sono gli strumenti, costituzionali e istituzionali, in grado di garantirla al massimo livello: lo Stato (e lo Stato siamo noi tutti) deve essere messo in grado di fornire a questi strumenti i mezzi, sufficienti e idonei, per operare nella direzione giusta. Le soluzioni “casarecce”, il ricorso a estemporanee ricette populiste, possono dare l’impressione di un decisionismo sbrigativo, e forse solleticare qualche nerboruta velleità, ma alla resa dei conti si rivelano inutili o dannose.
p.s. La Direzione centrale per le risorse umane del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale in una circolare ha invitato tutte le questure d’Italia a risparmiare sui costi delle operazioni dato che “la decurtazione degli stanziamenti per il capitolo delle missioni è stato, per il 2009, particolarmente rilevante”.
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