L’esperienza dell’Università di Padova dove ha sede il Centro
di Ateneo per i Diritti Umani diretto dal professor Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali. Nel 2009 il Centro
ha stipulato un Protocollo d’intesa prima con la Questura
di Venezia nell’ambito di un progetto sulla tratta
degli esseri umani e poi con quella di Padova con la quale
ogni anno organizza un ciclo di incontri
L’Italia non può essere annoverata tra i Paesi, almeno tra quelli occidentali, più virtuosi in termini di rispetto dei diritti umani. Complice la sua storia tormentata, caratterizzata dopo il fascismo da continue emergenze, il Belpaese si è spesso prestato alla promulgazioni di leggi speciali di dubbia costituzionalità per fronteggiare uno stato di cose appunto continuamente emergenziale. E malgrado negli anni ’60 e ’70 anche all’interno delle Forze dell’ordine sia maturata una presa di coscienza democratica, ora i tempi sono cambiati e in peggio, al punto tale che l’attuale classe politica non riesce ad approvare una norma che consideri senza ambiguità di sorta, il reato di tortura.
Un quadro dunque preoccupante del quale abbiamo parlato con il professor Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Padova, dove ha sede il Centro di Ateneo per i Diritti Umani da lui diretto.
Professore, perché in Italia è diventato così difficile definire il reato di tortura? Quali sono le ragioni politiche e culturali che stanno dietro questo atteggiamento?
La questione dell’introduzione del reato di tortura nel nostro Codice penale figura nell’agenda politica dal 1989, anno di entrata in vigore per l’Italia della Convenzione internazionale contro la tortura, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1984. L’articolo 4 di questa convenzione stabilisce espressamente che “ogni Stato parte vigila affinché tutti gli atti di tortura vengano considerati quali trasgressioni nei confronti del suo Diritto penale”. Quindi l’obbligo internazionale che l’Italia ha assunto ratificando la Convenzione delle Nazioni Unite dell’84 è chiarissimo. Tuttavia le autorità italiane negli anni hanno sempre respinto le reiterate raccomandazioni ad adempiere a quest’obbligo provenienti dagli organismi internazionali di monitoraggio dei diritti umani. ... [continua]
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