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Marzo - Aprile/2016 - Interviste
Lavoro
Lettera dedicata a Maria Teresa Turazza, mamma di Massimiliano e Davide
di

Cara Maria Teresa,
ti scrivo, è vero, dopo tanto tempo, ma anche se non si dovrebbe fare, giuro su me stesso che se sono state poche le parole scritte, tanti sono stati i pensieri per te, uno per ogni raggio di sole che ha accarezzato il cielo, anche quando nel tuo cielo c’erano le nuvole e tu non li vedevi.
Ti scrivo per dirti che ti sono sempre stato accanto: quando tu mi chiamavi e ti sembrava che io non ti rispondessi, perché io ero il silenzio; quando tu cercavi la mia mano e non capivi che erano le mie dita quei soffi di vento che accarezzavano le tue; quando volevi che io ti stessi accanto e riflessa nel muro vedevi solo la tua ombra, perché io ero la luce; quando ti sembrava fosse ancora notte anche se il sole si era già alzato, perché io ero il cielo intero; quando erano giorni di festa per tutti, mentre per te le lancette dell’orologio che giravano erano frecce conficcate nella memoria, perché io ero il Tempo che passava.
Non ti ho mai abbandonato, Teresa, anche quando ti sei ritrovata in mezzo a un deserto e anche tu, e di questo ti ringrazio, non mi hai mai lasciato; ho tanti anni, è vero, ma ci sento ancora bene e ti ho ascoltato sempre, anche quando mi parlavi sottovoce, unendo le parole, l’una all’altra, con un filo della tua Fede.
Sono stato e sono figlio e padre, ma per quanto mi possa impegnare, non riesco a sentire davvero cosa significhi essere madre, ancora meno essere una madre come te.
Rispetto a un padre, una madre inizia ad essere madre nove mesi prima, anzi, forse, inizia a farlo nel momento stesso in cui decide di cercare, tra le pieghe di un sogno, un figlio e rispetto a un padre, una madre rimane sempre attaccata ai suoi figli da quel cordone ombelicale, la cui sola parte materiale viene tagliata, perché in realtà resta per sempre un filo invisibile che lega le loro anime e che nessuno potrà mai spezzare.
Ho assistito a molti parti e mi piace farlo ogni volta che riesco a scappare, visto che, di solito, mi chiamano per gli istanti più vicini alla morte che alla vita; il momento più emozionante che ogni volta mi fa sempre piangere, nei giorni in cui, Teresa, piove tanto, è quello in cui vedo questi uomini e queste donne in miniatura, ancora sporchi di sangue e speranze, che senza sapere nulla e con gli occhi ancora chiusi, appena messi in braccio alla mamma, girano la testa verso il suo petto, per bere dal seno il succo della vita.
Fosse anche solo per questo attimo, senza neanche pensare a tutti gli altri istanti che uniscono un figlio alla propria mamma come un’onda al mare, un padre, rispetto a una madre, è un po’ più piccolo.
Penso che tu sia una grande donna e una grande madre, perché parli di loro come stessero ancora giocando tra le tue gambe, o come fossero appena usciti da casa, dopo averti salutata, per andare a lavorare; penso tu sia una grande madre perché sei riuscita a ritrovare la forza di parlare, raccontare, aiutare gli altri e perfino sorridere quando c’è qualcuno che di un sorriso ha bisogno.
Ti ho sentito dire che in fondo non erano più solo figli tuoi, ma anche dello Stato e io che per forza di cose giro il mondo e lo faccio girare ti dirò di più e cioè che ogni figlio che nasce, e quindi anche i tuoi, sono in realtà figli del mondo intero, ma non per questo una mamma non è più una mamma.
I tuoi figli sono stati, anzi, sono figli del mondo e proprio per questo il mondo intero dovrebbe piangere per Massimiliano, per Davide e per tutti i figli che muoiono prima dei loro genitori e più sono piccoli e più grandi dovrebbero essere le lacrime.
E’ vero, lo so perché io so tutto, che i tuoi figli sono stati eroi, ma a me e sicuramente anche a te piacerebbe tanto un mondo che non debba avere bisogno di eroi, un mondo in cui l’amore non debba essere diviso, ma solo e sempre moltiplicato.
A dir la verità, poi, eroi siete stati e siete ancora tu, Antonella, Debora e le giovani Nicol e Lara, anzi, ti prego di far arrivare anche a loro queste mie parole, insieme a un abbraccio fatto solo di affetto e colori, come fosse un pezzo di arcobaleno, da mettersi intorno al collo come una sciarpa.
Starei a scriverti per tanto altro tempo, ma mi stanno chiamando per un’urgenza e devo proprio andare, ma ti volevo salutare, chiedendoti una cosa: per tutta questa cattiveria, per questi proiettili nel buio, per questi segni di gesso sull’asfalto, per questi silenzi, per tutto questo dolore e per tutte queste lacrime che hanno tentato più volte di far affogare il tuo presente e per questa Terra in cui ti ritrovi a vivere e alle volte a sopravvivere, cara Teresa, ti chiedo perdono.
Un abbraccio. Il tuo Dio.

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