A colloquio col sociologo Francesco Carchedi, uno dei curatori
del libro "Mafie straniere in Italia: come operano, come si contrastano"
Il volume disegna la mappa delle mafie straniere in Italia. C'è stata un'evoluzione con il progressivo aumento del flusso migratorio o l'espansione "dell'altra malavita", dipende da fattori diversi?
E' vero, ma solo in parte. Noi siamo partiti dalla constatazione che negli ultimi 10 anni c'è la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Allo stesso modo esiste lo sfruttamento nelle campagne per la raccolta dei prodotti della terra. Allora ci siamo chiesti cosa ci sia dietro, perché sono fenomeni particolarmente rischiosi, sia per i connazionali dei gruppi criminali stranieri che subiscono le angherie, sia perché lambiscono le nostre dinamiche sociali.
La Direzione nazionale Antimafia aveva già messo sotto osservazione questo fenomeno e noi, come sociologi, ci siamo innestati in questo ragionamento che si basa sui resoconti della stessa Dna: sono già parecchi anni che ci dedichiamo alla tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, lavorativo e accattonaggio. Così siamo partiti dalle loro indagini, incrociandole con le nostre.
Il risultato è che siamo di fronte ad organizzazioni criminali di stampo mafioso di origine straniera. Al loro interno, pur con un peso specifico diversi, sono presenti elementi che rientrano nell'articolo 416 bis.
E cioé?
In primis l'intimidazione, seguita dall'arricchimento illecito. Terzo punto, la tendenza al controllo territoriale. Infine, il vincolo associativo. Tutti elementi, appunto, che contraddistinguono i gruppi criminali di cui si occupa il 416 bis.
Quali sono le mafie straniere più radicate in Italia e soprattutto dove?
Le abbiamo individuate laddove alcune componenti straniere sono ovviamente maggioritarie. Ad esempio, i cinesi sicuramente nella zona di Prato, a Porta Venezia a Milano ed in alcune aree del napoletano e di Roma. Anche per quanto riguarda i nigeriani esiste una corrispondenza tra le zone di maggior presenza di comunità e i nuclei criminali di connazionali.
Il paradosso è che queste organizzazioni sono il segno della maturità e della strutturalità che ha assunto la presenza straniera in Italia. Per analogia, noi sappiamo che, a cavallo tra l'800 e il '900, alcuni capi della mafia italiana si trasferirono in America dando vita a gruppi criminali, che si innestarono con quelli locali. Allo stesso modo, non dobbiamo pensare che oggi ci sia solo un trasferimento di malavitosi dall'estero, ma è una sinergia tra i loro e i nostri. ... [continua]
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