La grande manifestazione del 28 ottobre scorso a Roma, con la partecipazione di oltre 30mila appartenenti alla Polizia di Stato, alla Polizia Penitenziaria e al Corpo Forestale, deve essere vista come un segnale. Un segnale forte, e un grido d’allarme indirizzato al governo, e a tutti i cittadini, espresso in maniera precisa dal discorso di Felice Romano, Segretario generale del Siulp, che ha presentato l’intervento del Cartello sindacale del Comparto Sicurezza. I sindacati della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato denunciano le condizioni alle quali sono ridotte le Forze di polizia che devono garantire il sistema sicurezza nel nostro Paese, a causa della politica seguita dal governo in questo settore, riassumibile in una parola: tagli. Con la conseguenza di un indebolimento complessivo di quelle Istituzioni che hanno il compito fondamentale di proteggere la vita, i beni, la tranquillità dei cittadini.
Eppure la sicurezza era stato l’argomento chiave, un vero e proprio cavallo di battaglia, dell’attuale maggioranza durante la campagna elettorale. Non si era lesinato nei toni enfatici, e nelle veementi accuse di inerzia indirizzate al governo di allora. E, ricordiamo, le promesse, le assicurazioni che con il “cambio della guardia” la sicurezza dei cittadini sarebbe stata garantita al cento per cento, le Forze di Polizia avrebbero avuto tutti i mezzi e gli strumenti per operare al meglio, con il giusto riconoscimento del loro sacrosanto diritto a un trattamento economico dignitoso.
Forse si potrebbe riesumare l’antico detto popolare “passata la festa, gabbato lo santo”, ma l’argomento è troppo serio e non è davvero il caso di motteggiare. La sicurezza non dovrebbe essere uno slogan da utilizzare quando si ritiene utile farlo, per poi metterlo nel dimenticatoio quando si tratta di passare dalle parole ai fatti. Questo i sindacati di Polizia lo hanno sempre detto, a tutti i governi, di sinistra e di destra. Perché non tutelare in maniera efficace la sicurezza di tutti i cittadini significa “mettere a repentaglio la democrazia e la libertà di questa nazione”. E “non c è democrazia, non c’è libertà se i cittadini rimangono rintanati nelle loro case perché manca chi fa il controllo del territorio, chi vigila nelle carceri, chi vigila sulla loro sicurezza”.
Sono parole indirizzate in primo luogo a chi ha la responsabilità istituzionale della gestione della “res publica”, sulle quali però tutti dovremmo riflettere. Perché un conto è dissertare sulla sicurezza sul filo di questo o quel fatto di cronaca, magari alzando la voce e invocando soluzioni salvifiche estemporanee, e un altro realizzarla, mantenerla giorno per giorno, imponendo il rispetto totale delle regole della legalità.
E’ anzitutto – va detto e sottolineato – un problema di professionalità. O meglio, di etica e pratica professionale, di preparazione, esperienza, spirito di sacrificio. Tutte doti che non mancano certo alle nostre Forze di polizia. E a questo proposito sembra opportuno fare ricorso alla memoria, e ricordare che la nostra Polizia di Stato è nata dalla lotta – pacifica, ma condotta con esemplare costanza – dagli stessi poliziotti, agenti, graduati, funzionari, ufficiali, uniti nel chiedere una Polizia in sintonia con il Paese, democratica, efficiente nella difesa della legalità, formata da uomini e donne il cui vincolo al dovere era accompagnato dal pieno riconoscimento dei loro diritti di cittadini e di lavoratori. Una lotta che sfociò nella riforma del 1981, seguita poi da quella della Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale, e dalla creazione dei Cocer della Guardia di Finanza e delle Forze armate.
A distanza di trent’anni dalla riforma i sindacati di Polizia affrontano un aspetto della condizione del Paese del quale tutti dobbiamo essere informati. I tagli applicati dal governo all’apparato sicurezza conducono a un degrado inevitabile della sua efficienza. Frustrando e umiliando la professionalità degli operatori, rispondendo alle legittime richieste di un minimamente decoroso trattamento economico con 40 euro di aumento contrattuale e 13 centesimi al giorno di “specificità” di un lavoro che richiede una costante disponibilità, senza limiti di orario, e comporta rischi facilmente immaginabili. “Ma tagli significa anche macchine fatiscenti che spesso ci lasciano a piedi, risparmi nella formazione, nell’addestramento, nell’equipaggiamento, nella logistica, e soprattutto tagli significa riduzione degli organici, perché oggi, grazie ai tagli operati da questo governo, a fronte di diecimila operatori tra tutte le Forze di polizia che ogni anno si perdono perché vanno in quiescenza o decidono di impegnare la loro professionalità altrove, dove è maggiormente remunerata, si pretende di sostituirli con appena 2.500 che, se tutto va bene, prenderanno servizio due o tre anni dopo”. E. ancora, uffici di Polizia sfrattati per morosità, armi difettose, divise logore, giubbetti antiproiettile che non proteggono più, e così via.
Quasi a voler mostrare una nuova linea nel campo della sicurezza c’è stata la saga delle ronde. Prima nate episodicamente per generazione assistita da qualche sindaco-sceriffo, poi codificate per legge, con regolamenti la cui applicazione dovrebbe essere delegata ai prefetti. Nei fatti un’iniziativa destinata, nell’ipotesi migliore, a complicare il problema della sicurezza. Visti i pareri negativi in proposito espressi anche da esponenti della maggioranza, come il sindaco di Roma Gianni Alemanno, sorprende che il ministro dell’Interno Roberto Maroni abbia accettato di impegnarsi in questo fumoso progetto che sembra comunque votato al fallimento.
E mentre si riducono i mezzi alle Forze di polizia viene aggravato il peso dei loro compiti, ad esempio con quel reato di clandestinità che – pur non riducendo il flusso degli irregolari – accresce il numero degli arresti, e dei detenuti in carceri già sovraffollate. Con una contemporanea diminuzione degli organici della Polizia Penitenziaria.
Questo è il panorama. Preoccupante, se si considera che abbiamo il record europeo di criminalità organizzata, e forse faremmo bene a non trascurare il rischio terrorismo. “Da molti anni – ha detto Felice Romano – la sicurezza viene vissuta come un costo, e sfugge sempre di più a chi governa l’idea essenziale che la sicurezza deve essere vissuta come un investimento. Un investimento necessario per la sicurezza e la legalità che sono la base per il rilancio dell’economia e della crescita del nostro Paese”. Ci sembra chiaro, e di una logica impeccabile.
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