Per il Segretario generale del Siap
(Sindacato italiano appartenenti
Polizia) è ancora lunga la strada
per il pieno riconoscimento
dei diritti sindacali nel Corpo.
Il caso Traini, l’inutilità di creare
una Polizia dell’immigrazione,
le promozioni dei funzionari
condannati per il G8 di Genova
Formatosi alla Digos di Napoli, che ha definito tra i migliori uffici investigativi d’Italia, specie tra gli anni ’80 e ’90, Giuseppe Tiani è diventato sindacalista per via di un caffè.
“Sono diventato sindacalista a causa di un episodio particolare. Il rinnovo del contratto salariale del 1995, io all’epoca facevo il turno rotativo chiamato h/24, e quel contratto prevedeva un aumento sul turno di notte pari al costo di un caffè. Questo evento mi colpì e decisi di avvicinarmi all’attività sindacale. Scelsi il Siap, dove già militava mio fratello, perché era un sindacato di base e come dice il nostro motto ‘la base lotta per la base’”. Oggi, ormai alla dirigenza del sindacato, Tiani continua la sua lotta per dare voce ai colleghi in strada. Per rendere il poliziotto un attore sociale forte. “Dobbiamo ancora fare molta strada nel Comparto Sicurezza per il pieno riconoscimento dei diritti sindacali e soprattutto per l’emancipazione politica della categoria, un vulnus democratico, come emerge con chiarezza dall’indagine sullo stato della sicurezza del Paese nella relazione del Presidente Violante, rispetto alla composizione sociale della rappresentanza democratica nelle Istituzioni politiche. A noi non è ancora consentito, nonostante la legge lo preveda, di partecipare a quello che una volta si chiamava concertazione, cioè al confronto con il governo, luogo in cui si delineano le direttrici della politica economica che ha ricadute su tutto il mondo del lavoro e sulla politica dei redditi e delle retribuzioni”.
I fatti di Macerata sembrano che abbiano fatto emergere un malessere, una crepa nella nostra società. Sono finalmente uscite all’aperto due visioni della realtà; una che identifica nell’immigrazione la causa di tutti i mali e l’altra invece che prova a razionalizzare il fenomeno. In questo Paese si pensa che accogliere diverse visioni del mondo sia un male, una forma di pensiero debole. Ma tutta la nostra storia ci dice esattamente l’opposto. Da poliziotto e sindacalista, qual è la sua visione? Terrorismo o atto di follia?
Se ragionassimo rispetto al sentimento collettivo, quello che tutti i giornalisti, gli osservatori e i commentatori più acuti hanno descritto in quei giorni, non potremmo che definirlo un atto di terrorismo. Ma rispetto all’ordinamento giuridico del Paese, e veda io sono un poliziotto, appartengo alle Istituzioni, non posso identificarlo come un atto terroristico. Infatti ciò che viene imputato all’aggressore è tentato omicidio plurimo, strage e danneggiamento.
No? E se fosse stato fatto dall’Isis?
Un gesto isolato di un folle, o di un elemento radicalizzato ma solo, senza un contesto organizzato alle spalle secondo me non può essere identificato come un atto terroristico. Anche se Traini è riconducibile ad un’area politica extra parlamentare che si origina nella destra più radicale ed estrema, rimane il gesto di un folle solitario. ... [continua]
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