“Dobbiamo prendere posizione”: su questa linea del Piave
si muove Thomas Casadei, docente di prassi dei Diritti
umani all’Università di Modena. “Ogni studioso - dice - deve stare
nella mischia. Solo così si può affermare la funzione sociale
della Ricerca”
C aporalato, tratta di esseri umani, sfruttamento sono solamente alcune delle nuove forme schiavitù, causate da politiche neoliberiste e processi di globalizzazione. Non passa estate senza che le cronache locali siano funestate da episodi di sfruttamento estremo di lavoratori, quasi sempre stranieri, privati dei più elementari diritti. Da almeno due decenni la questione dell’immigrazione viene strumentalizzata a fini elettorali da una classe politica miope, che deumanizza i migranti riducendoli a cose, corpi senza volti né storie, merci di scambio in accordi internazionali siglati con regimi liberticidi. E poi gli anziani, i poveri, i “diversi” in generale, che godono spesso, di fatto, di uno status ridotto di cittadinanza.
Sono tante, troppe, le storie in cui la dignità umana, solennemente proclamata nelle Carte dei diritti, viene invece calpestata quotidianamente, in cui condizioni di precarietà esistenziale e vulnerabilità hanno il sopravvento.
Presso l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia si occupa di approfondire queste dinamiche il Crid – Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità, diretto dal professor Gianfrancesco Zanetti. È uno impegno attivo, militante, non fine a se stesso, che affronta i fenomeni discriminatori con gli strumenti della più rigorosa ricerca scientifica, al fine di incidere sulla realtà e attivare virtuosi processi di cambiamento.
Thomas Casadei è un giovane docente di Filosofia del diritto e Teoria e prassi dei diritti umani all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, instancabile promotore di iniziative, sia dentro che fuori dal mondo accademico. Autore di numerose monografie, da anni si occupa di nuove schiavitù, discriminazioni e razzismo. Ha curato, assieme a Mauro Simonazzi, il volume Nuove e antiche forme di schiavitù (Editoriale scientifica, Napoli, 2018).
Polizia e Democrazia lo ha intervistato.
Cosa l’ha spinta ad occuparsi di migrazioni, caporalato, tratta di esseri umani e sfruttamento estremo, questioni che di solito incontrano solo marginalmente l’interesse del mondo accademico?
L’interesse per queste tematiche risale ai primi anni Duemila, quando fui invitato a partecipare, con un contributo dedicato alla schiavitù, a un volume curato da studiosi interessati alle questioni di vita o morte nel contesto contemporaneo.
Le ricerche condotte, a partire da uno scavo di tipo giusfilosofico e storico-giuridico, mi portarono ad approfondire le forme della schiavitù contemporanea (all’epoca, come spesso ancora oggi, definite come “nuove schiavitù”) e, soprattutto, a constatare la scarsa attenzione per queste problematiche, proprio all’interno delle discipline di cui mi occupo da tempo: filosofia e sociologia del diritto.
Da allora ho proseguito raccogliendo molti materiali, partecipando a seminari e convegni nazionali e internazionali (tra le altre cose, faccio parte di una rete internazionale che porta avanti un progetto sulla tratta coordinato da alcuni studiosi e alcune studiose dell’Università di Granada), ma anche mantenendo vivo e costante il dialogo con società civile, Ong e associazioni, esperte ed esperti, che si occupano concretamente del contrasto alla tratta e del recupero delle vittime di questo drammatico fenomeno (strettamente collegato alle migrazioni).
Anche nell’ultimo volume che ha curato assieme a Mauro Simonazzi se ne occupa.
Sì, nel libro sono raccolte le relazioni a un Convegno nazionale che abbiamo organizzato all’Università di Camerino nel 2016 e, tra i vari contributi, c’è, per esempio, anche quello di Alessandra Sciurba che con il suo lavoro “sul campo” ha, per così dire, “squarciato il velo” che nascondeva il fenomeno della tratta e dello sfruttamento sessuale fino alla riduzione in schiavitù nelle campagne siciliane, e in particolare nel territorio ragusano.... [continua]
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