“Il Ddl sulle intercettazioni mette in ginocchio l’attività investigativa e significa arrendersi alla criminalità”, afferma Luca Palamara, presidente dell’ Associazione nazionale magistrati (Anm). E ha sottolineato che con il “depotenziamento” di questo strumento di indagine “non scopriremo gli autori dei reati”. Assicurando che l’Anm continuerà a esprimere la sua protesta “coordinandosi con le Forze di polizia”, Palamara spiega che la sempre citata privacy non è in questione, e il problema della pubblicazione delle intercettazioni non rilevanti può essere risolto con “un’udienza filtro in cui le parti discutono quello che deve essere trascritto”.
“Un provvedimento che colpisce al tempo stesso il lavoro dei giornalisti e il diritto dei cittadini a conoscere le vicende del Paese”: così la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) definisce sinteticamente lo stesso disegno di legge.
Ecco presentati i due aspetti di una legge che interviene pesantemente sia sul modo di condurre le indagini, sia sull’informazione che i media possono (nel senso di “sono autorizzati”) a trasmettere. Due aspetti diversi ma legati tra loro. Uno riguarda la difesa della legalità in tutti i campi, l’altro il diritto dei cittadini ad essere informati. Insieme essi costituiscono una delle basi essenziali di una società veramente democratica e consapevole.
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L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che ha sede a Vienna, ha chiesto al governo italiano di rinunciare alla legge sulle intercettazioni, o di modificare il Ddl in sintonia con gli standard internazionali sulla libertà di espressione. “Sono preoccupata che il Senato abbia approvato una legge che potrebbe seriamente ostacolare il giornalismo investigativo in Italia – dice in un comunicato Dunja Mijatovic, responsabile dell’Osce per la libertà dei media – I giornalisti devono essere liberi di riferire su tutti i casi di pubblico interesse, e devono poter scegliere come condurre una indagine responsabile”.
Maurizio Massari, portavoce della Farnesina, ha dichiarato che “Da parte italiana, attraverso i canali diplomatici, è stata fatta notare con fermezza l’inopportunità di tale intervento”, che, ha aggiunto, “rischia di interferire e turbare il dibattito democratico in Parlamento”. Non è chiaro in che modo un parere espresso da un organismo europeo riguardante un Paese membro dell’Ue possa non “interferire” e “turbare” un dibattito peraltro già, e da tempo, molto acceso. O si ritiene che le organizzazioni come l’Osce debbano limitarsi a esprimere solo giudizi positivi sulle iniziative dei vari governi?
Del resto, l’Osce ha respinto subito al mittente la reprimenda di Massari: “E’ normale e consueto che l’istituzione faccia sentire la sua voce nei processi parlamentari. Noi non abbiamo autorità. Il Parlamento italiano è sovrano e indipendente, ma deve sapere che questa legge. se passa, non è in ottemperanza con gli standard Osce”. Ogni anno l’Osce si pronuncia su circa 60 casi, e “non c’è nulla di singolare che l’abbia fatto con l’Italia”. A questo punto la reazione della Farnesina spingerebbe quasi ad alludere, senza troppo infierire, a una sorta di forse inconscia “coda di paglia”.
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“Ora cala il sipario – commenta Mario Calabresi, direttore di La Stampa – Il nostro lavoro sarà più incerto e faticoso, gli avvocati diventeranno compagni di banco di direttori e editori. Nonostante dibattiti, correzioni e appelli di ogni tipo, la legge che detta nuove regole per le intercettazioni e l’informazione viaggia spedita verso i suoi obiettivi.
Abbiamo più volte scritto e riconosciuto che in Italia ci sono problemi di rispetto delle vite private di persone coinvolte in indagini, ma ciò non può cambiare il giudizio totalmente negativo che abbiamo della nuova legge. Il dovere di informare i lettori e il mestiere di giornalisti saranno resi più difficili perché le possibilità di raccontare le inchieste si ridurranno notevolmente, potremo darvi resoconti minimi e parziali, dovremo destreggiarci a fare brevi riassunti e mai citare dettagli e particolari determinanti. Tutto in una grande incertezza, che spingerà gli editori a sollecitare continui pareri legali per evitare le maximulte.
E’ forte l’amarezza per un gesto che non ha nulla a che fare con la privacy e la civiltà giuridica, ma ci parla solo della volontà urgente della politica di calare il sipario sulle inchieste e di mettersi al riparo dagli scandali per garantirsi un tranquillo futuro di impunità e mani libere”.
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A questo punto, l’iter del Ddl sulle intercettazioni, dopo l’approvazione al Senato con il vincolo del voto di fiducia, sembra essere attraversato da fasi alterne. Un percorso scandito da periodiche accuse a ipotetiche lobbies di Magistrati e giornalisti, e da trattative all’interno della maggioranza basate essenzialmente – per quello che se ne sa – su scambi di attenzioni tra Lega e Pdl. Oltre che da preoccupazioni sulle iniziative del presidente della Camera. sul passaggio della legge al vaglio del Quirinale, ed eventualmente della Corte Costituzionale.
D’altra parte, le vicende di questa legge coincidono con le recenti richieste di revisione della nostra Carta, che il presidente del Consiglio ha accusato di essere di matrice “cattocomunista”, e persino indicata come freno a un auspicato rilancio della nostra economia. Ovviamente viene dimenticato che sotto l’ombrello della Costituzione del 1948 l’Italia ha realizzato l’immane processo di ricostruzione postbellica, riuscendo subito dopo il giustamente osannato successo del “miracolo economico”. E non risulta che la nostra Costituzione “cattocomunista” (come dire, il diavolo e l’acqua santa), abbia impedito a rampanti neoimprenditori il passaggio, in tempi relativamente brevi, dall’ago al miliardo.
Ora si direbbe che la tentazione di cambiare le regole, di crearne di nuove e di abolirne alcune tra quelle esistenti, si fa sempre più insistente. Lasciando presagire – al di là delle finalità palesi e nascoste – una stagione pesantemente conflittuale e non priva di incognite.
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