Per garantire la sostenibilità del “sistema Italia” in una situazione di crisi economica globale di così rilevante gravità, e dai percorsi difficilmente prevedibili, occorre dotarsi di risorse “materiali e immateriali… risorse economiche, sociali e ambientali che ogni generazione trasferisce a quelle successive, e che condizionano le possibilità future di godere di un livello di benessere analogo o superiore a quello attuale”. Nella sua relazione al 3° Congresso nazionale del Silp per la Cgil (al quale è dedicato questo numero di Polizia e Democrazia), Claudio Giardullo traccia un quadro complessivo dei problemi che il nostro Paese si trova ad affrontare. Ponendo in primo piano i temi e gli aspetti legati a due strutture “strategicamente determinanti per puntare a uno sviluppo economicamente efficace e socialmente equo”: sicurezza e legalità. E segnalando le risposte niente affatto rassicuranti contenute nelle decisioni prese dai responsabili della “res publica”.
Due temi fondamentali per la civile convivenza, ma non sempre e non da tutti vissuti con la stessa intensità. La sicurezza – lo sappiamo tutti per ripetuta esperienza – ha costantemente assunto in tempi di campagna elettorale la funzione di un vessillo da sbandierare con il fine, abbastanza esplicito, di alimentare paure generalizzate, “percezioni” di pericoli imminenti. E di conseguenza suscitare una tendenza verso chi prometteva, appunto, sicurezza a 360 gradi. Promesse che a molti – forse più per voglia di credere che per autentica fiducia – sono apparse rassicuranti, e che sono state subito smentite dalla realtà, come provano i miseri investimenti riservati alle Forze di polizia, cioè a quello strumento istituzionale che della sicurezza è garante.
Certo, la crisi, e di conseguenza i tagli. Però i dati dicono che già nel 2008 la spesa per le Forze di polizia in Italia erano molto inferiori a quelle della Germania e della Gran Bretagna, nazioni europee che sul piano della criminalità “spicciola” non hanno situazioni più gravi delle nostre. E che non devono affrontare la presenza ben radicata e in costante espansione delle mafie. Organizzazioni criminali che uniscono all’aspetto gangsteristico quello affaristico e imprenditoriale, aggiungendo i risvolti e i prolungamenti dei ben noti (a volte con nomi e cognomi) “concorsi esterni” in grado di creare collegamenti e sintonie ad alto livello.
Ecco, le mafie conducono al tema della legalità. E, volendo vedere le cose come sono, va detto che essa non sembra essere unanimemente considerata un fattore primario, da sostenere quale elemento base per una civile e democratica coesistenza. Anzi, fa notare nella sua relazione Claudio Giardullo, “ha subito una duplice riduzione delle risorse, quella riguardante le Forze di polizia e quelle destinate all’Amministrazione giudiziaria. Ma a differenza della sicurezza, sulla quale alta è stata l’attenzione dell’opinione pubblica, anche a causa dell’insistenza con la quale il governo ha legato questo tema a quello dell’immigrazione, la legalità ha conosciuto negli ultimi anni un affievolimento del suo ruolo di valore centrale per la convivenza civile e l’esistenza stessa dello Stato di diritto”.
A un osservatore interessato ma non addetto ai lavori, si pone quindi un interrogativo: è possibile far convivere il “sistema sicurezza” e il “sistema legalità”, dando a entrambi la stessa attenzione, sotto forma di strategia politica e di strumenti operativi? La risposta ovvia può essere una sola: non solo è possibile, ma è essenziale. Altrimenti ai cittadini resterebbe unicamente la scelta fra piccoli delinquenti, grandi criminali e esperti truffatori , trasformando una nazione nella collodiana Città di Acchiappacitrulli, anche se mascherata da Paese dei Balocchi.
Detto questo, l’esperienza insegna che in Italia ciò che è ovvio non è sempre visto di buon occhio, nel senso che si preferisce metterlo in ombra effettuando uno stravolgimento della realtà, e dei termini che la definiscono. Accade così, ad esempio, che la giustizia sia – con virtuosa indignazione – tacciata di “giustizialismo”, e che l’omertà assuma orgogliosamente i panni del “garantismo”. Si arriva al punto che una condanna per “concorso esterno in associazione mafiosa” venga considerata un episodio trascurabile se inflitta a un importante uomo politico, al quale del resto non sono lesinate attestazioni di solidarietà e stima. Nel suo intervento al Congresso, il Capo della Polizia ha giustamente ricordato il lavoro – duro e rischioso - degli operatori che hanno realizzato gli arresti di boss e manovalanza mafiosa. Ma Antonio Manganelli sa benissimo che questi successi si registrano su uno dei due fronti della lotta alla criminalità organizzata, perché purtroppo padrini e picciotti continueranno ad essere rimpiazzabili fino a che il sistema mafioso resta funzionante. E di questo sistema il “concorso esterno” è, ripetiamolo, un elemento fondamentale.
Mafia, e non solo mafia. Le cronache ci parlano di fenomeni aberranti di corruzione, di malaffare, di ricatti mescolati a scambi di favori in vista di speculazioni realizzate a spese del bene pubblico. Aggiungiamo: le cronache ne parlano perché magistrati e Forze di polizia indagano, e i media informano i cittadini sui risultati di queste indagini, condotte con vari strumenti investigativi, tra i quali le intercettazioni telefoniche e ambientali. Grazie a (ma secondo alcuni dovremmo dire “per colpa di…”) queste intercettazioni, riferire dai media, l’opinione pubblica è stata messa al corrente di fatti collocabili dall’illegalità alla scorrettezza che altrimenti avrebbe a lungo, o per sempre, ignorato. Una legge, sulla quale molto si è discusso e molto si discuterà, vuole intervenire in entrambi i settori, in nome della difesa della “privacy” dei milioni di comuni, e innocenti, cittadini, minacciati da magistrati, poliziotti e giornalisti nell’intimità dei loro incontri telefonici. Anche se le conversazioni registrate occasionalmente riportate dai media hanno sempre riguardato personaggi e argomenti di pubblico interesse. Si vedrà.
Questi e altri temi sono da varie angolazioni trattati in questo “speciale” di Polizia e Democrazia, temi che interessano naturalmente da vicino le Forze di polizia, ma che dovrebbero interessare altrettanto tutti gli altri cittadini. Perché il 3° Congresso del Silp per la Cgil ha dimostrato una volta di più che il movimento sindacale della Polizia di Stato rappresenta in maniera decisa e responsabile una grande risorsa e una valida garanzia per la civile convivenza e la democrazia nel nostro Paese.
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