Ecco, potrebbe essere l’occasione per fare chiarezza. Ci riferiamo alla manovra varata dal Governo. Non per discuterne i contenuti, che sono stati largamente dibattuti e violentemente criticati da varie parti anche di quella stessa maggioranza che l’ha approvata con maggior o minore convinzione. Chiarezza per cominciare sui nostri bisogni, quelli che non solo ora, sono fatalmente a rischio da qualsiasi intervento teso a risistemare i conti pubblici. La salute, intesa come diritto di tutti i cittadini a vederla tutelata, a partire dalla prevenzione per finire alla cura, che nei Paesi di più alta democrazia (lo si chiami welfare o con altra definizione) è sempre stato uno dei vanti del mondo occidentale.
La scuola pubblica, l’istruzione che deve preparare tutti ad assumere nella società un ruolo attivo e soprattutto cosciente. I mezzi pubblici che continuano ad essere utilizzati da milioni di cittadini per vari motivi, in primo luogo quello lavorativo.
La riforma del sistema pensionistico. E se i giovani, a precisa domanda, nemmeno più si aspettano di averla una pensione, questo è pur sempre un Paese che invecchia, che è già vecchio, se i dati dicono che oltre il 5 per cento della popolazione ha più di 80 anni e il 20 è sopra i 65. Da qualsiasi parte lo si voglia prendere, o tagliare, il sistema pensionistico resta pur sempre uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalle democrazie.
La sicurezza, i cui strumenti sono da tempo presi di mira da misura restrittive, ma della quale si è molto parlato in occasione di alcune memorabili campagne elettorali. La legalità, che citiamo per ultima non perché meno importante, ma perché sovente disattesa. E che potrebbe forse essa sola, in tutte le sue forme, dall’evasione fiscale di grosso calibro alla sconfitta delle mafie, alla corruzione e concussione, risolvere essa sola tutti i problemi di bilancio del nostro Stato o quantomeno ridurli moltissimo.
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Fare chiarezza anche sul rapporto che esiste tra il grave stato in cui versano i nostri conti pubblici e la crisi che investe complessivamente, sia pure in maniera diseguale, tutti i Paesi dell’Occidente, compresi gli Stati Uniti dove il mese di agosto è stato giudicato il più nero dal lontano 1945. Vale a dire che anche dopo aver pareggiato i nostri conti, attraverso tagli e misure diverse, rimane pur sempre l’ombra della recessione globale dei mercati, la crescita che non cresce e la generale depressione se non vera e propria paura, in cui si rischia di far precipitare le popolazioni. Del resto lo stesso ministro Giulio Tremonti, sommo reggitore della nostra economia, ha dichiarato parlando al meeting di Comunione e Liberazione: “Siamo ancora nel video game nel quale i mostri si avvicinano”. Una fantasiosa metafora alla quale si dovrebbero aggiungere per completezza di esposizione i nomi di questi paventati mostri. Perché in realtà si parla quotidianamente di manovre speculative di piccolo e grande cabotaggio ai danni del nostro Paese, ma non viene mai spiegato chi siano questi pervicaci aggressori.
Certo si intuisce che tutto questo non venga fatto per semplice antipatia nei confronti della gente italica bensì per accumulare fortune che si ritiene debbano essere ingenti. Dove poi siano accumulati questi tesori dai moderni pirati della finanza non è dato saperlo. Neppure l’informazione libera che attentamente segue le vicende finanziarie fornisce lumi in proposito. Forse non tenendo conto che i meccanismi borsistici sono abbastanza oscuri alla maggioranza dei cittadini.
E a proposito di fare chiarezza tanto per dire sarebbe interessante poter individuare punti fermi e comprensibili nelle dichiarazioni, nelle analisi e nelle intenzioni degli addetti ai lavori, sia che si tratti dei famosi economisti, sia che ad esprimere il loro pensiero o meglio le loro volontà siano dei manager che appaiono spesso una via di mezzo tra Harry Potter e il dottor Stranamore.
Anche a proposito della sempre citata “crescita” i suoni sono spesso ambigui se non discordanti. Non si capisce in effetti, o meglio non viene detto, se la crescita debba essere in qualche modo guidata (senza voler ricorrere ai piani quinquennali di memoria sovietica) o sia opportuno lasciarla libera di proliferare secondo l’unica sacra formula del “fare azienda” e del resto qualcuno ha fatto notare che le aziende soprattutto in tempi difficili, se fanno presto a nascere, muoiono ancora più rapidamente. Angela Merkel si è premurata di avvertire che la crescita non può essere sostenuta da un sistematico indebitamento.
Dato che, con quasi assoluta certezza, i suddetti chiarimenti non saranno forniti a breve scadenza, possiamo forse trarre qualche conclusione dalle reazioni che le misure della manovra hanno provocato. La più significativa è senza dubbio quella venuta dai sindaci registrata vistosamente con la manifestazione di Milano del 29 agosto dove hanno sfilato fianco a fianco i primi cittadini di tutte le appartenenze politiche.
Una reazione comprensibile che rientra nella logica della convivenza civile, poiché i sindaci sono i rappresentanti della politica a più diretto contatto con i bisogni dei cittadini. Cittadini dai quali dipende la famosa crescita. In assenza di possibilità di consumi, e non si parla più ormai di consumismo, ma di veri e propri bisogni primari, è ovvio e scontato che la crescita non ci sarà. Del resto l’ultimo dato Istat sui consumi (giugno) porta l’ennesimo segno meno. E di fronte all’autunno che incalza, con i rincari che vanno dagli asili ai libri scolastici, dalla tessera dell’autobus alla mensa aziendale, è fuori discussione che si pensi a cambiare il televisore se non il cappotto. Per finire una semplice richiesta che serva almeno a non accrescere il numero rilevante di carenze, inesattezze, e smaccate menzogne. Si smetta, una volta per tutte, di fare riferimento allo slogan “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”. E’ ovvio che di dritto o di rovescio le mani nelle tasche si devono mettere dato che è dubbio che gli svizzeri o gli svedesi accettino di sostituirli in questa funzione. Il punto è il modo.
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A fianco o meglio geograficamente al di sotto dei gravi problemi della parte “fortunata” del mondo, c’è un Continente che ha altri problemi direttamente legati alla semplice sopravvivenza: siccità e carestie nel Corno d’Africa sono solo uno degli episodi che affliggono il continente nero. Lì non si tratta di operare dei tagli per il semplice motivo che non c’è nulla da tagliare. Apparentemente si tratta di un problema umanitario per il quale si richiede appunto l’intervento della carità dell’uomo bianco e in cui lodevolmente operano organizzazioni non governative e anche religiose.
Ma l’uomo bianco è anche quello che invita gli speculatori in borsa in questi giorni a investire sui cereali dell’Africa che arrivano a cifre iperboliche proprio a causa della siccità in corso. Si direbbe quasi che il post colonialismo per quel Continente sia peggio del colonialismo d’antan. Dobbiamo ricordare che l’Africa è un continente molto ricco di risorse che però ha visto distruggere in nome delle speculazioni finanziarie e dello sfruttamento minerario da parte delle democrazie occidentali il proprio tessuto tradizionale che le avrebbe consentito uno sviluppo armonico. Perché, per concludere, l’homo sapiens è da lì che è venuto e poi i suoi comportamenti non hanno smesso di peggiorare.
Paolo Pozzesi
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