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Gennaio/Febbraio/2005 - Lettere
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Io ricordo...

Caro Direttore,
ricordo il campo nomadi di Milano in fondo a via Cambini: una volta vi ho portato i “lupetti” del mio gruppo scout per regalare agli immigrati il cibo che era avanzato dal nostro campeggio estivo. Poi sono passate le ruspe e quegli immigrati sono andati via. Le aveva chiamate il sindaco di Milano, Marco Formentini.
Ricordo Jonathan, bambino peruviano che era entrato nel nostro gruppo scout, e che abitava a pochi metri da quel campo nomadi nelle case di ringhiera di via Clitumno. In quelle case, oltre alla famiglia di Jonathan, vivevano tanti altri immigrati del Perù. Un giorno Jonathan non è più venuto alle riunioni degli scout, e abbiamo scoperto che in quelle case c’era stata un retata. Lui e altri bambini del palazzo erano stati portati in questura e sottratti ai loro genitori, trascorrendo una notte di terrore senza sapere cosa era successo ai loro cari. Jonathan frequentava regolarmente la scuola elementare del parco Trotter in via Padova, ma da quella notte non ne abbiamo saputo più nulla. Quell’anno il sindaco di Milano era Marco Formentini. Ricordo di un uomo che ha basato la sua campagna elettorale sullo sgombero del centro sociale Leoncavallo, ingannando Milano con la paura dei “diversi” per vincere le elezioni contro un candidato sindaco onesto. Quell’uomo era Marco Formentini, e il suo avversario onesto si chiamava Nando Dalla Chiesa, figlio di un Carabiniere ucciso dalla mafia e fondatore del movimento chiamato “Società Civile”, basato su una regola ferrea: i politici di professione non erano ammessi.
Tempo addietro camminavo per le vie della città che mi ha adottato, e guardando un manifesto ho scoperto che l’Ulivo mi chiedeva di dare il mio voto all’ex leghista Marco Formentini, per mandarlo al Parlamento Europeo a decidere anche di immigrazione. Ho guardato a lungo quel manifesto, e sono rimasto imbambolato per molti minuti di fronte al sorriso di quella foto, mentre dentro di me la rabbia e il terrore danzavano un tragico valzer.
Ho ripensato a Jonathan, e alla dignità con cui ripiegava ogni mattina i vestiti che gli avevamo dato per partecipare all’unico campeggio scout della sua vita, e di fronte all’antitesi della dignità che mostrava il suo ghigno da un manifesto elettorale ho pensato dentro di me “stai tranquillo, Jonathan. Ovunque tu sia, sappi che io mi ricordo.
Grazie e cordiali saluti.
Carlo Gubitosa - Milano


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Aspetta da 30 anni

Egregio Direttore,
succede pure questo, qualcosa di simile a quanto accadde al guerriero giapponese in una isola del Pacifico dopo la Seconda Guerra Mondiale. Succede che un militare, classe 1954, è stato costretto a rivolgersi al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio per ricevere il congedo.
Ormai veste panni civili da oltre 30 anni ed invano chiede di ricevere questo foglio di congedo.
Almeno per il giapponese c’era la scusante della mancanza di comunicazione. Il militare italiano, classe 1954, partecipò al 14° corso Allievi sottufficiali di Viterbo, nel 1970 a 16 anni di età. È stato poi arruolato in Marina nel gennaio 1972, con matricola n. 71VO155 M. Della sua partecipazione al Corso As di Viterbo ce lo testimonia una bella foto di gruppo fatta insieme ai partecipanti al corso, mentre una fotografia con dedica del comandante del cacciatorpediniere Aviere ne attesta il servizio su questa nave.
L’ex militare (che però tecnicamente è ancora in servizio attivo in quanto non congedato) abita a Cabras in Sardegna, ha scritto la sua autobiografia su un sito Internet www.geocities.com/pentagon/4031. Presso il Distretto militare principale di Cagliari si trova traccia del suo foglio matricolare. Ha fatto degli esposti alla Corte dei Conti Europea per i diritti dell’uomo e presso la Corte dei Conti di Cagliari. Sappiamo che il lavoro della burocrazia militare non si può proprio dire rapidissimo, tanto che l’Associazione che presiedo attende ancora di sapere i nomi degli aventi diritto ai risarcimenti che per legge dovevano essere concessi dal 1° gennaio 69 e ad oggi non sono stati ancora resi noti. Comunque 30 anni per avere un foglio di congedo sembrano davvero troppi!
Cordiali saluti
F.A. - Roma


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Nonnismo al femminile

Egregio Direttore,
dopo l’episodio di nonnismo in Veneto che ha visto coinvolti un maresciallo e una soldatessa, un altro episodio di nonnismo ha squarciato la fitta coltre di silenzio che copre queste vicende. Una coltre di silenzio che si vuole rendere sempre più impervia anche attraverso sanzioni da imporre ai giornalisti che ne parlano, in nome di una fasulla segretezza delle operazioni militari.
L’episodio della “Folgore” di Siena la dice lunga sulla lotta al nonnismo, una finta lotta fatta solo a parole ma contraddetta da opere come lo “Zibaldone” del generale Celentano. L’immagine di professionismo nasconde una faccia ben diversa. Inoltre prima c’erano solo i nonni ora ci sono anche le nonne che prendono a calci le reclute; speriamo non le prendano al guinzaglio.
Nulla è cambiato anche dopo l’introduzione del “reato di nonnismo” che venne formalizzato dopo il caso Sciari. Se non ci sono le intenzioni di impedire questi episodi e di coprirli col silenzio, le leggi servono a poco. Non dobbiamo dimenticare quanto accadde a Pisa con il caso Sciari e l’omertà che lo ha coperto, né dobbiamo dimenticare, sempre a Pisa, il caso di Andrea Oggiano che si gettò sotto il treno a Chiavari perché non riusciva più a sopportare le violenze (caso negato dal Comando di cui si venne a conoscere il colpevole solo anni dopo grazie a una soffiata).
Così come non dobbiamo dimenticare il caso Malgioglio, il giovane ucciso da un colpo di arma da fuoco a Messina. Per 8 anni si affermò che fosse stato un suicidio ma poi fu acclarato come omicidio e rispetto al quale vi sarà un processo il 2 febbraio 2005 a Messina.
Occorre finalmente che si cambi indirizzo.
L’associazione Ana-vafaf (www.anavafaf.com) e il “Comitato Sos soldati” ringraziano coloro che vogliano segnalare episodi come quelli sopra citati, episodi che non devono restare nascosti se si vuole evitare che si ripetano.
Cordialmente
Falco Accame
Presidente Ana-vafaf

* * *
Egregio Direttore,
i casi di “nonnismo” dentro le caserme italiane, che vedono coinvolte anche donne in divisa dalla parte di presunti seviziatori, ripropongono un problema su cui sarà bene essere chiari: chi conosce la vita militare sà che nulla di ciò potrebbe minimamente accadere se le gerarchie decidessero sul serio di dire “basta” una volta per tutte.
Poiché ancora accadono, ciò vuol dire o che le gerarchie non riescono a tenere la disciplina all’interno delle caserme, oppure che tali fenomeni vengono ancora (come già in passato) “tollerati” perché ritenuti strumento utile per formare la personalità del soldato.
In tal caso, per far finire quegli atti illegali, non rimane altro che ritenere responsabili, ai fini della valutazione di carriera, i comandanti che non li impediscono.
Si provi ad abbassare le note caratteristiche al comandante della caserma dove ancora si manifesta il “nonnismo”, e si vedrà che quel fenomeno scomparità immediatamente. In caso contrario, il nostro Paese dovrà tenersi tale malcostume illegale.
Cordiali saluti.
Vincenzo Cerceo
Col. in congedo G. di F.

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