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marzo/2005 - Lettere
Le lettere
di

G. di F. e traffici nucleari

Egregio Direttore,
tempo fa, uno sceneggiato televisivo che vede per protagonisti i finanzieri, ha propinato ai telespettatori un caso di lotta al traffico di materiali nucleari condotta, appunto, dalle Fiamme Gialle. I cittadini hanno così potuto vedere accorte azioni di Polizia, alte tecnologie, e così via. Peccato che la realtà, in effetti, sia stata, almeno in un passato non molto lontano, del tutto diversa (non so ora).
Chi scrive ha avuto modo, a Trieste, all’inizio degli anni ’90, quale comandante del locale Gico, di condurre una delle prime inchieste in Italia su traffici di materiale nucleare (di cui, a suo tempo, parlò molto anche la stampa) e l’atteggiamento delle gerarchie del tempo, a livello locale e centrale, non fu affatto di sostegno.
All’inizio, le stesse assunsero un atteggiamento negazionista (“non c’è nessun traffico, è solo una ‘bufala’ e tu stai perdendo tempo”), quindi, risolsero la questione con un anticipo di trasferimento, del tutto immotivato, che mi impedì di completare quelle indagini di cui, poi, nessuno sentì più parlare. Delle stesse ho iniziato a scrivere, con estremo dettaglio, e scriverò ancora, sul giornale Il Movimento di cui sono direttore editoriale.
Tornando, comunque, alla fiction televisiva, una fiction è una fiction, e non deve, necessariamente, corrispondere alla realtà. Da questo punto di vista, tutto è normale, anche nel caso specifico.
Cordiali saluti
Vincenzo Cerceo
Col in congedo G. di F.

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Sul prof. Caselli

Egregio Direttore,
il 10 febbraio avevo chiesto che il prof. Giovanni Caselli fosse invitato, dalla costituenda Commissione sull’uranio impoverito del Senato, per riferire sui pericoli a cui era stato esposto il personale civile inviato nei Balcani, dato che nessuno era stato informato dell’esistenza di tali pericoli, di cui peraltro il nostro Paese era a conoscenza dal 1984 da una comunicazione della Nato in cui si indicavano anche le misure protettive da adottare: guanti, maschere, tute, occhiali.
Il prof. Caselli, vice presidente dell’Abusdef e docente all’Università di Firenze, aveva operato, nell’ambito della operazione Arcobaleno, in Kossovo come commissario inviato dalla Presidenza del Consiglio e tra le attività svolte vi era quella di monitorare le condizioni delle case colpite da bombardamenti ed era quindi stato esposto, senza saperlo, ad ingenti concentrazioni di uranio impoverito. Si era ammalato qualche tempo fa di un tumore, ma adesso sembrava in via di guarigione. Cercandolo alcuni giorni fa per telefono per informarlo della mia richiesta, ho saputo dalla consorte che era morto il 5 gennaio.
Il prof. Caselli si era preoccupato da anni delle condizioni del personale civile inviato nei Balcani. La Commissione Mandelli aveva peraltro preso in considerazione solo i militari. Recentemente vari quotidiani avevano ripreso la vicenda della malattia del prof. Caselli con interviste e notizie informative. Alla famiglia va l’espressione del profondo cordoglio della Associazione che lo ricorda per il suo grande impegno civile. Non sappiamo se ha avuto un telegramma di cordoglio da parte delle autorità. Una morte nel silenzio a differenza di quella del personale morto a Nassiriya con funerali di Stato.
C’è chi è seguito dallo Stato e chi non è seguito dallo Stato. Parlando con una signora in Sardegna il cui figlio, marinaio, è morto il 26 luglio 2003 nel poligono di Salto di Quirra a San Lorenzo, mi ha detto che qualche giorno prima aveva ricevuto una comunicazione con la quale si chiedeva al figlio di recarsi a La Maddalena. Evidentemente qualcuno aveva tanta cura per il personale da non sapere se era vivo o morto.
L’uranio, e i silenzi con cui si vuole coprirlo, ha creato delle situazioni difficilmente accettabili sul piano etico e sociale.
Cordiali saluti
Falco Accame
Presidente Ana-Vafaf


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Riscatto della laurea

Egregio Direttore,
alcuni anni fa ho presentato alla ex Cpdel (ora Inpdap) domanda di riscatto dei 5 anni di studio universitario. Ora ho 55 anni e 35 anni di contributi (compreso il riscatto che considero acquisito).
Mi è stato detto che quando arriverà il conteggio avrò la possibilità di pagare a rate (in 10 anni); ciò significa che è possibile pagare alcuni anni di rate quando sarò già in pensione? Ammesso che il conteggio mi arrivi fra 4 anni, quando avrò 59 anni, se accetto pagando a rate (un anno da lavoratore e nove da pensionato) avrò una penalizzazione sulla pensione?
Lettera firmata
______________
A seguito delle innovazioni introdotte con la delibera n. 1182 del 16 marzo 2000 del CdA dell’Inpdap, è ora possibile rateizzare l’onere del riscatto “per un numero di mesi pari a quello del periodo riscattato e comunque non superiore a 180”. La rateizzazione del contributo e il tasso d’interesse sono indicati nell’Informativa Inpdap n. 55 del 4 giugno 2002. Sull’argomento veda ora anche l’articolo 2 del d.lgs n. 184/1997 e la Circolare Inpdap n. 12 del 24 febbraio 1999 che può reperire dal sito Internet dello stesso istituto.
Per quanto riguarda il completamento del pagamento dell’onere con ritenute mensili sulla pensione, resta valido quanto stabilisce il comma 4 dell’articolo 10 della legge n. 274/1991.


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Un invito a scrivere

Egregio Direttore,
sono un ispettore di Ps ma chiedo scusa se non firmo questa lettera: il clima nel mio luogo di lavoro a Roma, ma credo in ogni altro settore dell’Amministrazione, è tale che è difficile poter esprimere liberamente le propie opinioni senza dovere avere paura di sgambetti o ritorsioni.
Dovremmo tutti seguire l’appello di Ennio Di Francesco pubblicato sul numero 42 di “Polizia e Democrazia” affinché tutti i poliziotti, e credo siano la maggioranza, che fanno il proprio lavoro con passione e onestà, possano fare nuovamente sentire la loro voce scambiandosi riflessioni e proposte di là di ogni divisione sindacale o di rappresentanza.
Il potere dei “capi” divenuti tali proprio col sacrificio di noi poliziotti di strada, si avvale del divide et impera per pensare solo ai propri interessi di carriera.
Dov’è la libertà ed i diritti che avevamo conquistato? In che modo possiamo esercitare bene la nostra professione? Basta pensare al problema delle divise, delle auto, delle armi, al sistema dei trasferimenti per chi ha santi in paradiso, agli imboscamenti.
Noi poliziotti sembriamo destinati a diventare gli ultimi delle Forze di polizia e vedremo quando ci sarà la regionalizzazione.
Ho letto anche la lettera al Capo della Polizia di Di Francesco: la mia ammirazione per lui è enorme, non ha mai accettato compromessi, è stato sempre vicino ai poliziotti della base, non ha fatto carriera e lo hanno fatto fuori. Ma può andare a testa alta perché tanti, poliziotti e no, lo ammirano (per me il suo libro è stato un testo base per capire le conquiste fatte dalla Polizia, peccato che molte di esse siano state sprecate).
Mi compiaccio con “Polizia e Democrazia” e invito i poliziotti a scrivere raccogliendo l’appello pubblicato.
Forse ci sentiremo un po’ più partecipi e liberi.
Mentre scrivo apprendo dei due colleghi uccisi a Verona e piango di commozione e di rabbia.
Cordiali saluti
Isp. Polizia di Stato G. B.
Roma









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