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Aprile/2006 - Lettere
Le vostre lettere
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Le “strane” diagnosi

Egregio Direttore,
sono il maresciallo capo dei Carabinieri in quiescenza Gaetano Campisi, di cinquantadue anni, trenta dei quali trascorsi nella gloriosa Arma dei Carabinieri. Mi sono arruolato all’età di diciassette anni e mezzo ed ho svolto servizio nei più svariati Reparti di prima linea, come l’antidroga di Roma, Napoli e Milano, i Reparti operativi sparsi per l’Italia; ho partecipato alle indagini della bomba a piazza della Loggia a Brescia, ho prestato servizio nell’Antimafia di Palermo ed ho fatto anche la scorta ad un magistrato. Tanti anni di servizio spesi con onestà, abnegazione e sacrificio, sino al giorno in cui mi ha colpito una grave malattia dell’intestino (il morbo di Crohn), che mi ha poi costretto a lasciare l’attività operativa per quella burocratica.
Nel 1991 è iniziato un contenzioso con la mia Amministrazione, per un banale “caso di ufficio”. Ho fatto una richiesta affinché l’Amministrazione potesse adoperarsi nel migliore gli ambienti insalubri dove l’ufficio era locato. Viste le mie condizioni mediche, l’ambiente malsano, umido di quell’ufficio mal si conciliava con il mio stato. Fui mandato, per questo, a visita psichiatrica e fui obbligato ad una sospensione del lavoro, venne aperta una procedura di malattia a mio carico per “rigidità dell’io”. Diagnosi che è stata sconfessata da due cliniche universitarie, rispettivamente quella di Siena (prof. Saulo Sirigatti) e Pisa (prof. Pietro Sarteschi) e, in terza battuta, dal prof. Arnaldo Ballerini, come consulente esterno, chiamato in causa dalla mia Amministrazione. Chiusa la proceduta di malattia, speditamente, fui ritenuto idoneo al lavoro.
Sono stato più volte denunciato, dalla mia Amministrazione, sotto forma di informativa all’Autorità giudiziaria militare di La Spezia, con pronunciamenti di archiviazione in istruttoria, senza che io fossi informato. Nel febbraio del 2003, fui mandato a visita presso l’infermeria presidiaria del Comando Regione Carabinieri a Firenze. Il medico, lì presente, mi dichiarava “non idoneo” per 30 giorni per “reazione ansiosa in situazione di conflittualità”; allo scadere dei quali, fui inviato al Centro militare di Medicina Legale di Firenze, dove la commissione medica (composta da pediatra, dermatologo, otorinolaringoiatra, ecc.) mi ha trattenuto in malattia per “rigidità caratteriale” per altri due anni. Sono, infine, posto in congedo per un altro lungo periodo di malattia. Ho chiesto alla mia Amministrazione di indicarmi un medico che potesse curarmi della “rigidità caratteriale” ed ho ottenuto due risposte.
La prima del Capo di Stato Maggiore int. col. Salvatore Maiorana; con prot. n. 11/1-3-RP dell’11 gennaio 2005: “In esito alla sua istanza del 30 novembre 2004, si rappresenta che, a parere del Direttore dell’Infermeria presidiaria di questa Regione, la ‘persistente rigidità caratteriale’, riscontratale in sede di visita collegiale del 4/11/2004, non configura sicuri aspetti psicopatologici meritevoli di terapia farmacologica ma di adeguato supporto psicologico... Per quanto procede ed al fine di fornirle un indirizzo specifico, si informa che nell’area Intranet del portale dell’Arma, è possibile consultare il sito dell’Ordine nazionale degli Psicologi, cui fare riferimento per l’individuazione di un professionista super partes, a sua scelta”. La seconda, a firma del Capo di Stato Maggiore col. Cosimo Chiarelli, con prot. n. 25/58-1/2005-rp del 7 marzo 2005, afferma quanto segue: “Il Comando Generale IV Reparto - Direzione di Sanità ha rappresentato che, per la cura della patologia riscontrata lei potrà: a) avvalersi dei consulenti esterni del Servizio di Psicologia medica presso l’Infermeria presidiaria di questa Regione (allegato A); b) ricorrere, in alternativa, alle strutture del Servizio Sanitario nazionale che eroga prestazioni diagnostiche e terapeutiche in regime ambulatoriale (allegato B)”. Confortato da queste autorevoli risposte, inviavo una richiesta di cura al prof. Aldo Pazzagli, direttore dell’Istituto di Psicologia clinica dell’Università di Firenze, che mi rispondeva prontamente: “Gentile maresciallo, la rigidità caratteriale non è una diagnosi né psicologico-clinica né psichiatrica, ma un’attribuzione che descrive alcune caratteristiche della personalità. Per questo non sono previsti trattamenti specifici. Se la rigidità determina sofferenza nel soggetto, allora, solo una psicoterapia può, in qualche caso, essere di aiuto al soggetto. Oggi le psicoterapie si svolgono solitamente come attività private; per una valutazione diagnostica e per l’indicazione di eventuale trattamento può prendere appuntamento attraverso l’ambulatorio del Dipartimento, telefonando al n. 055.4277482. La informo poi che il responsabile attuale di questo servizio è la prof.ssa Benvenuti. Cordiali saluti, Adolfo Pazzagli”.
Mi sono recato prontamente, quindi, dalla prof.ssa Benvenuti, che dopo avermi visitato mi ha rilasciato il seguente referto: “Egregio dott. Lottini, ho visto due volte il suo paziente Gaetano Campisi, che mi chiedeva una valutazione clinica di patologia mentale e di eventuale terapia da attivare. Vedendo il materiale che il signor Campisi ha portato, e credo di poter ipotizzare che si sia trattato di una situazione di conflitto esasperato e autoalimentato negli anni, in cui sono stati trasformati in diagnosi psichiatriche alcuni tratti di personalità non patologici di per sé, ma che sono apparsi tali nel contesto di rivendicazione che si è creato. Se l’ipotesi è corretta, come credo, non ci sono trattamenti terapeutici da attivare neppure di tipo psicoterapeutico. Cordiali saluti. Paola Benvenuti”.
In data 12 maggio 2005 mi recavo nella seconda struttura medica indicata dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, cioè l’Azienda sanitaria n. 10, ambulatorio di Psichiatria, dove due medici mi hanno rilasciato il seguente referto: “Attestiamo che il signor Campisi Gaetano, non è in cura presso il Sergizio di Psichiatria, né presso il Servizio di Psicologia di questa zona sanitaria della Asl 10 - Firenze. In passato egli ha avuto ripetuti contatti con gli scriventi in relazione al suo problematico e conflittuale rapporto con l’Amministrazione pubblica, di cui è dipendente, per consigli e indicazioni medico-legali. Come è stato ribadito nel corso degli anni dai numerosi specialisti, a vario titolo, consultati nell’ambito del contenzioso fra il sig. Campisi e l’Arma dei Carabinieri e, di recente dal prof. Pazzagli, direttore dell’Istituto di Psicologia clinica dell’Università di Firenze, anche a nostro giudizio, il termine ‘persistente rigidità caratteriale’, attribuito al Campisi dal Direttore dell’Infermeria presidiaria della Regione dei Carabinieri della Toscana, in data 11/1/2005, non corrisponde né ad una definizione psicologico-clinica né ad una diagnosi psichiatrica. Anche a nostro parere il signor Campisi non necessita né di cure psichiatriche, né di trattamento psicologico (fra l’altro una terapia psicologica, peraltro effettuabile solo in ambito privato, non ci appare indicata in questa specifica situazione). Firmato dott. Giuseppe Livio Comin e dott. Pier Giovanni Serafini”.
Ho raccontato il mio caso, perché avrei bisogno della vostra attenzione (commenti, critiche e quant’altro, purché civili e costruttive). Ringrazio anticipatamente e saluto.
Mar. Capo Gaetano Campisi
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Siamo certi che qualche lettore vorrà dare una risposta ai suoi quesiti. Indubbiamente un Carabiniere come lei, con il suo passato, forse meritava maggiore comprensione.

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