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Marzo/2012 - Editoriale
direttore@poliziaedemocrazia.it
Cercansi profeti del nostro futuro
di Paolo Pozzesi

Di rado ci soffermiamo a riflettere sull’antico interrogativo “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?” Ovviamente una risposta esauriente non è disponibile, e forse travalica i princîpi della logica recepibili dalla mente umana, ma riflettere sulla domanda sarebbe utile anche – anzi soprattutto – per affrontare i nostri problemi di terrestri evoluti, così minimi a fronte delle incognite del cosmo, eppure per noi essenziali.
Passando, con una rapida zoomata dai massimi ai minimi sistemi, ricollochiamo il discorso nella dimensione del pianeta Terra, esaminando la compatibilità tra quelle che sono enunciate come nostre esigenze e le risorse che il pianeta stesso è in grado di fornire. Beninteso, senza il rischio concreto di collassi disastrosi le cui dimensioni si possono solo intuire.
Non si tratta di riproporre il ben noto, e fondamentalmente trascurato, tema ecologista. Il realtà il discorso si collega pedissequamente alla situazione nella quale ci troviamo presi, e ossessivamente rappresentata ogni giorno: la crisi.

***
Il termine è pluri-comprensivo, ha varie facce, a volte tra loro discordanti. In sintesi, si hanno crisi per difetto, e crisi per eccesso. Quella che ci troviamo ad affrontare (ma il “ci” come vedremo, è piuttosto impreciso) viene definita nello stesso tempo globale, europea e italiana.
Quest’ultima la stiamo vivendo giorno dopo giorno. O meglio, conosciamo gli effetti delle misure prese per affrontarla dal governo dei tecnici ma prendendo in esame la prima definizione possiamo già porre qualche interrogativo: la crisi è davvero globale? Sono in crisi la Cina, l’India, il Brasile, e altri Paesi “emergenti”? Sembrerebbe di no, e anzi sembra che sia proprio con questi che dobbiamo confrontarci.
La crisi è europea? Se per Europa intendiamo l’Ue, sì, e rischia di assestare un duro colpo alla stabilità e alla coesione dell’Unione.
Certo, è forse lecito avere qualche riserva su alcuni comportamenti della City di Londra, ma sarebbe ingiusto cercare sempre la pagliuzza nell’occhio britannico, e del resto gli speculatori finanziari non hanno bandiera.
Altro è il discorso sulla funzione, e il funzionamento, degli organi dell’Unione, dalla commissione europea alla Bce. Tutti sanno che l’Unione non è del tutto unita: non è una vera federazione di Stati (come a esempio gli Usa) ma piuttosto una confederazione. Di qui il ruolo a volte altalenante della Banca Centrale Europea, i cui interventi non appaiono sempre guidati da regole precise. Che la crisi sia italiana, nessun dubbio. Semmai il problema sta nel definirla con precisione. E non per individuare i sentieri (o le autostrade) più adatti a condurci verso situazioni migliori. Non è semplice, e non staremo a ripetere i punti dolenti: debito pubblico, Pil a crescita zero, disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile. A tutto ciò si accompagna l’offensiva dei mercati finanziari, questi templi della speculazione selvaggia, manovrata dalle famose agenzie di rating, organizzazioni affaristiche autonominatesi arbitri del sistema. E ci riescono alla grande, perché il sistema non è quello del capitalismo classico dove l’economia è fatta di sostanza. Il sistema è basato sui dettami della finanza delle borse. Su un giudizio positivo o negativo che nel secondo caso può mettere in ginocchio un Paese.
Per quanto ci riguarda, l’Italia è in prima linea in questa guerra non dichiarata ma reale, dove i nemici sono difficilmente identificabili, e gli alleati spesso dubbiosi e incerti. Detto questo, qualche mea culpa è più che opportuno. L’allegra gestione della cosa pubblica, nei decenni passati. Senza dimenticare che ci portiamo dietro il peso sociale, politico, economico delle mafie, un fenomeno che disonora una nazione e ne mina la credibilità. Eppure si è continuato a sottovalutarne la gravità ignorandone i risvolti profondi e fortemente radicati.

***
Le prime misure prese dal governo Monti sono senza dubbio dolorose e probabilmente necessarie. Per rispondere alle urgenze immediate. Forse un’assoluta equità non è stata sempre rispettata. Al di là delle legittime critiche, l’obiettivo che viene proposto per uscire dalla crisi è quello della crescita. Crescita per produrre di più, creare nuovi posti di lavoro (con regole mutate…) ma produrre che cosa?
Naturalmente dei prodotti da vendere ad altri. Qui il tema entra nel vago e obiettivamente manca (o è ben nascosto) un piano di sviluppo adeguato alle caratteristiche e alle risorse del Paese.
In poche parole, si tratta di tenere conto della realtà, di dare vita a un “sistema Italia” che non ripeta gli errori del passato.
Concludendo il liberismo di stampo occidentale si sta rivelando tarlato di magagne, fonte di grandi e improvvisi guadagni per pochi astuti manovrieri e di altrettanto improvvisi impoverimenti per la maggioranza dei sudditi del Dio mercato.
E intanto sono scesi in campo nuovi protagonisti, un tempo emarginati, oggi determinati a prendersi una grossa fetta (magari la più grossa) della torta. Ovviamente la torta è il pianeta Terra, l’ambiente in cui tutti viviamo, o meglio, considerati i nostri comportamenti, bivacchiamo come in territorio di conquista.
In questo senso la crisi economico-finanziaria, sociale, etica è veramente globale, con imprevedibili esiti prossimi venturi.
PS A proposito di crescita, lo Stato continua ad essere debitore insolvente per decine di miliardi di euro nei confronti di migliaia di imprese e ancor prima verso le Regioni, le Province e i Comuni che a loro volta sono debitrici verso altre imprese. E tutte queste imprese si trovano a non poter pagare i loro dipendenti e fornitori. Questa strategia fa parte di un’inedita manovra per lo sviluppo?

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