Spiacevole esperienza
Caro Direttore,
sono abbonato da parecchi anni alla vostra rivista, che ho sempre sostenuto con profonda convinzione per la funzione positiva da essa svolta sul piano culturale e democratico.
Faccio da molti anni, dal 1972, l’avvocato e sono sempre stato impegnato nelle lotte più avanzate svolte dall’avvocatura. Sono stato e sono un dirigente dell’associazione Giuristi Democratici Giorgio Ambrosoli di Padova e membro del direttivo nazionale. Ho organizzato per i giuristi democratici diversi dibattiti sui temi della giustizia ed anche su mafia e politica, specie quello del 2005 con Caselli, collaboratore emerito della vostra rivista.
Ora scrivo in merito ad una spiacevole esperienza fatta a Padova, significativa dei tempi di grave reazione che stiamo vivendo. Mi trovavo alle ore 17.40 circa in piazza Mazzini, assieme a mio nipote e mia figlia. Proprio lì davanti c’era una macchina della Polizia di Stato - 113 - targata F 7..., e dei poliziotti stavano perquisendo un cittadino, all’apparenza straniero ed anche di disagiate condizioni, seduto civilmente su una panchina. Mi sono avvicinato, chiedendogli se aveva bisogno dell’assistenza di un avvocato, mi ha risposto di no e ne ho preso atto; ma uno dei due poliziotti è subito intervenuto osando dire che non dovevo intromettermi, perché loro stavano svolgendo il loro lavoro. Al che ho osservato in modo fermo che anch’io stavo svolgendo il mio, di avvocato. Quando il poliziotto ha avuto pure il coraggio di commentare che stavo disturbando, l’ho invitato, sempre in modo fermo, ad usare un linguaggio rispettoso dei diritti del cittadino. Mi è stata richiesta, ed ho mostrato, la mia carta di identità ed anche il tesserino di avvocato.
Il cittadino da loro sospettato di qualche reato è stato fatto salire su un’altra macchina della Polizia di Stato, targata F 6.... Sembra che dei cittadini si fossero lamentati perché era seduto su una panchina pubblica, non privata, nel giardino in cui c’è il monumento a Mazzini, grande democratico, perseguitato dallo Stato sabaudo del tempo come terrorista; ma anche se fosse stato un delinquente - e non ne aveva per nulla l’aria, essendo all’evidenza un povero cristo - avevo il diritto-dovere di proporgli la mia assistenza di cittadino-avvocato.
Un cordiale saluto.
Avv. Luigi Ficarra - Padova
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Largo ai giovani?
Egregio Direttore,
un amico mi ha fatto leggere il suo giornale: “Polizia e Democrazia” (n. 4/2008), in cui vi erano riportate tante notizie che ritengo di indiscusso interesse sociale e culturale, soprattutto per chi ha militato nelle Forze dell’ordine.
Tra le tante cose che ho letto, una in particolare ha destato in me un certo interesse, ed è una lettera dal titolo “In pensione a 60 anni”, anche se non mi trovo d’accordo sul contenuto, presentato da un piccolo gruppo di poliziotti prossimi al pensionamento per raggiunti limiti d’età, di cui si è fatto portavoce il signor Elio Giulio Bellis da Milano: essi hanno manifestato il loro disappunto in merito all’approssimarsi della data di collocamento in quiescenza poiché, a loro dire, alla giovane età di 60 anni si ritrovano ancora efficienti e propensi a continuare il servizio, anche se in un ruolo diverso.
La proposta avanzata da questi signori mi ha lasciato alquando perplesso, senza voler impedire a chicchessia di poter esprimere le proprie idee, non tanto per la notizia in sé, ma per il semplice fatto che viene ostentata da un gruppo di poliziotti prossimi a lasciare il servizio per raggiunti limiti di età, in quanto tale tesi non trova riscontro in seno ai Reparti delle Forze dell’ordine. Anzi la maggioranza di essi protende per una sia pur modesta riduzione!
Vorrei incoraggiarli, questi baldi e volenterosi signori, ma non me la sento poiché anch’io provengo dalle file delle Forze dell’ordine: sono un ex dipendente dell’Arma con un trascorso di 35 anni di onorato servizio alle dipendenze di questa Istituzione a cui va tutta la mia solidarietà e riconoscenza. All’età di 56 anni, benché avessi la possibilità di continuare ancora fino al raggiungimento del sessantesimo anno di età - nella posizione di “trattenuto” - ho preferito lasciare il servizio attivo, senza peraltro incontrare delusioni o risentimenti di sorta, dal momento che ognuno di noi è cosciente che nulla può durare in eterno, tanto meno l’attaccamento al lavoro.
Noi italiani siamo un popolo di individualisti e poco inclini a osservare le regole, qualunque esse siano, in quanto ognuno preferisce avere una regola fatta a sua misura ed esclusivamente per lui, pur sapendo che così facendo si crea solamente una grande e inarrestabile confusione. C’è chi fa una lotta spietata perché non venga innalzata l’età pensionabile (vedi la lotta che c’è stata per la riforma delle pensioni appena varata dal governo, con il supporto delle parti sociali) e c’è invece chi auspica l’innalzamento di questo benedetto limite. Allora, cerchiamo di metterci d’accordo e optiamo per una regola uguale per tutti, con riguardo a quelle categorie addette ai lavori cosiddetti “usuranti”, di modo che ognuno di noi prenda coscienza di quello che lo attende dietro l’angolo al momento di lasciare.
Ora, questo forte attaccamento al posto di lavoro, per quanto credibile possa essere, non deve diventare una forma patologica che, al posto di rendere un servizio utile alla società, può minarne il suo sviluppo. Non discuto sul fatto che la Polizia possa essere considerata alla stessa stregua di una famiglia, e come tale dovrebbe restarsene all’interno delle sue mura, perché questo bisogno di vicinanza epidermica che viene descritta in seno alla gente, non mi consta che sia stata mai ostentata da nessuna parte.
Peraltro, ottenere quello che viene richiesto nell’istanza significherebbe mettere in discussione il naturale ricambio tra nuove leve e anziani uscenti. Impiegare il personale della Polizia di Stato collocato in congedo per raggiunti limiti di età, in taluni Enti come la Scuola o in altri settori dell’Amministrazione pubblica, mi sembra del tutto esagerato e fuori luogo, pur non volendo minimamente sminuire le capacità individuali di ciascuno di essi, la cui diligenza e capacità professionale nello svolgimento del loro servizio istituzionale è nota a tutti!
Poi, dobbiamo considere che l’odierno mondo del lavoro è prigioniero della precarietà - la più spietata che l’uomo abbia mai conosciuto nella sua storia più recente - la quale è diventata l’handicap permanente dei giovani, quindi dei nostri figli che siamo costretti a tenere in casa a far niente, perché non trovano niente di meglio da fare: vogliamo noi padri tagliare la strada del progresso a questi ragazzi incerti del proprio futuro?
Il mio consiglio a questi signori - che hanno rappresentato questa idea, per certi aspetti brillante ma per certi versi in un momento sbagliato - è che si godano con serenità la pensione, pensando che ogni stagione dà i suoi frutti, i quali vanno raccolti e gustati.
Cordiali saluti.
Mariano Bullita - Biella
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Gentile Direttore,
non molto tempo fa ho letto una lettera a firma di Elio Giulio De Bellis, pubblicata sul vostro mensile, dal titolo “In pensione a 60 anni”. Personalmente mi sento di condividere la lettera di De Bellis, che peraltro suggerisce come il personale di Polizia nel ruolo dei funzionari e degli ispettori, potrebbe essere impiegato dopo i 60 anni.
La mia domanda è: perché categorie di funzionari di altre Amministrazioni (es. Dogane, Pubblica istruzione e i magistrati) possono andare in pensione a 72 anni, mentre il personale delle Forze di polizia, nei ruoli prima indicati, non possono restare oltre i 60 anni? Dovrebbe essere sufficiente che a domanda l’interessato chieda di restare altri due-tre anni come avveniva già nel passato. La stessa cosa dicasi per quanto riguarda la scelta di potere andare in pensione con l’anno solare.
Mi farebbe piacere sentire il parere dei colleghi che mi leggeranno. Cordiali saluti
Vincenzo Di Maria della PS
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