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Grazie di vero cuore
Caro Direttore,
grazie a lei e a quanti hanno permesso di inserire nella vostra bellissima rivista il mio piccolo e sgrammaticato ma sincero articolo intitolato “Essere una Guardia Giurata ai nostri giorni”.
Proprio in questo settore della Polizia sussidiaria, per la particolare materia che si tratta, della sicurezza e del personale impiegato che svolge funzioni di Polizia sussidiaria e quella pubblica, dove doveva prosperare la trasparenza in tutte le sue forme, il massimo della legalità e del rispetto per le regole impartire dagli Enti di competenza. Non dovevano poter fare un passo se non dopo il controllo attento dello Stato, attraverso anche delle verifiche periodiche.
Signor Direttore, 10 anni fa i più grossi imprenditori della vigilanza privata si permettevano di fare tutto quello che volevano, anche di contrariare il Prefetto in pubblico, e nessuno alzava un dito. Se dovessimo vedere un po’ della loro vita, potremmo dimostrare quanti reati hanno commesso pubblicamente nei confronti delle guardie e delle Istituzioni, ma che nessuno abbia mai potuto farci qualcosa per portarli davanti alla giustizia. Per loro hanno pagato dei prestanomi che figuravano essere qualcuno, ma che in realtà non contavano un bel niente. Ma queste notizie erano già da anni di dominio pubblico.
Signori giornalisti, ad oggi, in una piccola provincia della Sicilia, sono state rilasciate così tante licenze di vigilanza che hanno portato il settore al completo collasso, una concorrenza spietata, con tariffe orarie di vigilanza armata che partono dalle 5 euro l’ora. Non è importante il prezzo quanto ostacolare la vincita dell’appalto ad un’altra impresa.
Una guerra che poi porta alla sofferenza gli operatori che rimangono per mesi e mesi stenza stipenti. Contributi non se ne parla nemmeno. Siamo stati senza stipendio per quasi un anno, come dobbiamo vivere? Cosa dobbiamo dare da mangiare ai nostri figli? Come dobbiamo pagare il mutuo? Noi Guardie Giurate al 95% siamo tutti protestati.
Noi abbiamo prestato giuramento di fedeltà allo Stato per combattere il crimine e stiamo morendo di fame. Non fame per dire, la vera fame, quella che si ha quando a tavola non c’è niente.
Quando il governo, che tanto abbiamo supplicato di intervenire con una riforma sostanziale, farà qualcosa?
Alfio Agatino Maugeri
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7 lustri di vacche grasse!
Egregio Direttore,
sono passati 35 anni dal 1965 al 2000, intercalati da "crisi" frequenti. Siamo ora nell'era post-industriale. Non è chiaro cosa significhi. Si capirebbe meglio se la chiamiamo ultima, in ordine di tempo, rivoluzione industriale.
L'uomo si è sempre industriato; anche all'eà della pietra si valse di arnesi, per esempio di pietre per scheggiare altre pietre. Via via ha inventato attrezzi più efficienti come leva, ruota, piano inclinato, corda ecc., che in fisica vengono chiamati "macchine semplici".
Poi "macchine composte", macchine operatrici, hanno permesso l'esecuzione automatica di operazioni ripetitive, per esempio l'odometro di Vitruvio di 2mila anni fa o i mulini ad acqua o a vento ecc.
La prima rivoluzione dell'industria è stata di associare un motore alle macchine operatrici, cioè il motore a vapore ai telai dell'industria tessile. Questo ha permesso di produrre teoricamente senza interruzioni e in quantità "industriali", perché i motori non si stancano come gli uomini o gli animali, al massimo si rompono, ma si possono sostituire senza fare loro il funerale.
Fu una rivoluzione: la prima rivoluzione industriale.
Ne vennero altre con la produzione dell'acciaio per mezzo degli altoforni e poi con il motore elettrico, inventato da un italiano, Pacinotti.
Con il motore elettrico l'industria si è democratizzata, ovvero per essere capitano d'industria non era più necessario essere padrone del "vapore". Mi spiego meglio: il motore a vapore per essere redditizio doveva mettere in azione decine di macchine operatrici, decine, ancora meglio, centinaia di telai meccanici.
Costruire una fabbrica di centinaia di telai richiedeva risorse finanziarie di tutto rispetto, quindi il "padrone del vapore" poteva essere soltanto una persona già ricca: un nobile o un commerciante o un proprietario terriero che si convertiva all'industria manifatturiera.
Con il motore elettrico chiunque, anche senza "capitale", poteva diventare "industriale". Ed è ciò che è successo in tempi recenti: nuove formule creditizie; inoltre banche, titoli, società per azioni ecc. fornivano enormi quantità di denaro, attingendo al risparmio dei piccoli "risparmiatori".
L'opinione pubblica non è mai stata correttamente informata. L'informazione ha di volta in volta terrorizzato i non addetti ai lavori, criminalizzando le prime società per azioni, per definizione, anonime, poi le multinazionali e infine la globalizzazione e sorvolando sugli aspetti positivi.
Questo è il "capitalismo". Il capitalismo è frutto dell'età moderna, ha portato progresso, ma, per sua natura, non può estendere i benefici alla massa. L'inizio dell'età moderna si fissa nel 1492. Prima di allora siamo nel Medioevo.
Nel Medioevo l'economia era fondata sull'agricoltura e sullo scambio dei prodotti agricoli. Alla fine del Medioevo si affermano le città, i "Comuni", sulla campagna, ovvero la concentrazione di individui in poco spazio, con la conseguente necessità di regole di convivenza.
L'agricoltura comincia a dipendere dall'artigianato urbanizzato: concentrazione dei produttori, ma ancora concentrazione della produzione: è il pre-capitalismo. Il pre-capitalismo fu l'economia di passaggio dal feudalesimo all'età moderna.
Oggi il capitalismo, il modo di produzione basato sull'incremento del "saggio di profitto", è in crisi e gli industriali tentano la via dell'asservimento dei lavoratori, con l'appoggio di governi reazionari. Invece ho speranza che l'umanità, come è passata dal feudalesimo al capitalismo, possa instaurare un nuovo "modo di produzione".
Necessariamente cambieranno il "rapporto di produzione" e il "sistema di produzione", che sono definiti con chiarezza da Marx.
Franco Tadiotto - Genova
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