Crisi o la prima guerra globale?
Optimus: «Quale gradito incontro signor Optimum. Ma, sbaglio o la vedo pensoso, anzi direi offuscato?»
Parvus: «Non sbaglia, caro Optimum. Penso, e i miei pensieri non sono lieti».
Op: «E quale è la materia della sua riflessione, se è lecito chiederlo?»
Pa: «Stavo riflettendo sulla fiducia».
Op: «E perché mai questo la preoccupa?»
Pa: «Ecco, pensavo alla crisi che incombe su di noi. Uno dei suoi aspetti essenziali è appunto la fiducia. Una fiducia reciproca che, al di là delle dichiarazioni, c’è e non c’è».
Op: «Lei parla di fiducia tra Paesi diversi?»
Pa: «Sì, anche se… il fatto è che la globalizzazione complica tutto estendendo l’intreccio di rapporti e di interdipendenze fino a chi è lontanissimo da noi, però anche nella sostanza molto simile, e quindi, per entrambi i motivi, scarsamente affidabile»
Op: «Percepisco nelle sue parole una vena pessimistica»
Pa: «Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti. Questa crisi è un’incognita. E’ una situazione completamente nuova, senza paragoni».
Op: «C’è stata la risi del Ventinove».
Pa: «Quella? Era assolutamente diversa. Se ne parla perché sappiamo prevedere soltanto il passato, ma il mondo di allora non aveva quasi nulla in comune con il nostro. Era diversissimo il panorama geopolitico, Europa, America, Cina, Medioriente, e tutto il resto. Non c’erano l’atomica e internet. La crisi attuale è inversa, e non solo perché il mondo è profondamente cambiato in fretta, e in modo così variegato che lo conosciamo male, e questo crea dubbi, ansia, diffidenza. Questa a me sembra una crisi che varie facce».
Op: «Quali?»
Pa: «Si tratta anzitutto di distinguere i nemici e gli alleati»
Op: «Nemici e alleati di chi? Non stiamo mica parlando di guerra».
Pa: «Giusto! In effetti stiamo proprio parlando di una guerra. Più precisamente della terza guerra mondiale, o, se preferisce, globale, combattuta con le armi della finanza e dell’economia, micidiali quanto, e forse più, di quelle militari. La prima guerra globale».
Op: «Io credo che lei esageri».
Pa: «E io mi auguro che lei abbia ragione e io torto, perciò non parliamo di guerre metaforiche e restiamo ai fatti. In sostanza ad essere in crisi sembra essere il modello neoliberista dominante. Una sorta di grande gioco nel quale intervengono due componenti: una finanziaria, in certo senso virtuale, e una economica-produttiva. Da qualche tempo la componente finanziaria ha preso il sopravvento, controlla il gioco, anzi lo dirige. Gli andamenti delle borse sono diventati il pane quotidiano di noi tutti, che però ne ignoriamo i retroscena. E non è neppure chiaro quali siano le posizioni reali sul fronte dell’economia, se vi siano giochi contrapposti, o un filo logico segni l’interesse comune».
Op: «Interesse comune a chi?»
Pa: «Non lo so. Europa, America, Asia…Una gara per il sopravvento, o la ricerca di una mutua sopravvivenza? »
Op: «Vuole forse dire coesistenza?»
Pa: «No, quello era un termine valido ai tempi della cosiddetta guerra fredda, quando si dicevano le cose come erano. Oggi è diffusa un’ambiguità che maschera intenzioni e prospettive, e ignora prevedibili sbocchi finali, a volte catastrofici. Insomma, nessuno dei leader mondiali dice quello che pensa, né pensa quello che dice».
Op: «Sono tutti dei mentitori?»
Pa: «No, ma la verità è troppo complicata, e deprimente, per essere esposta a quella che chiamiamo opinione pubblica. Si insiste genericamente sui pericoli della crisi, preconizzando una crescita dai contorni indefiniti. Ma cosa significa crescita? Produrre di più? E produrre che cosa? E poi, dato che tutte le nostre società seguono le leggi del mercato, entra in una logica che ammette solo vincitori e vinti».
Op: «Come in una guerra?»
Pa: «E’ lei a dirlo, comunque è così. Prendiamo l’Europa. O, piuttosto, l’unione europea. Unione di 27 Paesi non troppo uniti in mancanza di governo, economia, sistema fiscale comune. Contraria al processo unitario è soprattutto la Germania, mentre sono favorevoli Paesi come la Spagna e l’Italia, che vedrebbero così avviati a soluzione gran parte dei loro problemi. Ora la Germania, che di fatto ha un ruolo preminente nell’unione, esige dall’Italia una cura di rigore che deprime la sua crescita. E l’Italia è il primo competitore della Germania sul piano manifatturiero».
Op: «Lei ipotizza un complotto teutonico?»
Pa: «Per carità! Ma il governo di Berlino non può non tenere conto degli interessi dell’industria tedesca. Peraltro è interesse della Germania che il mercato italiano non collassi e assorba i prodotti tedeschi. Ma questo vale in generale per tutti. Un sistema che quando diviene eccessivamente disarmonico provoca guai anche gravi, con il concorso degli squali della speculazione finanziaria, guidati dalla trimurti delle orche assassine, le agenzie di rating».
Op: «Un quadro confortante…E l’Italia? Che cosa dobbiamo temere? O sperare?»
Pa: «Gli italiani sono depressi, poche speranze e molti timori. Ogni giorno porta cattive notizie e si sentono vittime di qualcosa della quale non si considerano responsabili, e conoscono male le cause. Ed è logico che sia così, la crisi è nata in America a Wall Street, e poi all’aspetto finanziario qui da noi si è aggiunto quello economico. E la recessione ci tiene sotto il fuoco della speculazione».
Op: «Una speculazione diretta non solo contro l’Italia».
Pa: «Infatti, e certo se restiamo uniti possiamo difenderci meglio».
Op: «Noi europei?»
Pa: «Sì, però l’Unione Europea non è veramente unita. A mio modesto giudizio è crescita troppo in fretta. Ventisette Paesi messi insieme prima ancora di avere una costituzione unica. Credo che sarebbe stato più realistico dare inizio a una prima fase con i sei Paesi della Cee, e poi aggregare successivamente quelli che accettavano lo statuto dell’Unione. Per essere europei non è obbligatorio fare parte della Ue. Direi che c’è stato un eccesso di zelo europeista».
Op: «Affrontare la realtà, che, del resto, anche prima della crisi non era tutta rose e fiori».
Op: «In che senso?»
Pa: «Il nostro Paese soffre di alcune storture, o deformazioni, che da tempo ne condizionano l’essenza, il tessuto democratico, l’economia, l’etica civile. Le mafie continuano ad essere una componente fissa in costante espansione nella nostra società. Ogni tanto qualche ministro vanta gli arresti di boss e killer, ma si tace sul fatto che il sistema mafioso è alla base di affari molto vantaggiosi, e che spesso agisce di concerto con la corruzione nei settori pubblici».
Op: «Sono le colpe della politica».
Pa: «Sì, ma la politica siamo tutti noi. Siamo cittadini, comportiamoci da cittadini, e non come sudditi capaci solo di parlare male di governi e partiti. Su questo piano la cosiddetta Seconda Repubblica è cambiata in peggio».
Op: «Quindi che fare?»
Par: «Realizzare le riforme necessarie, e elaborare modelli di crescita che ci consentano di affrontare le sfide che minacciano la nostra economia. E resistere alla speculazione finanziaria».
Op: «Tutto questo sarà possibile?»
Par: «Sul fronte interno occorrono equità, termine un po’ inflazionato, serietà ed intelligenza. Su quello esterno, l’Unione Europea deve essere davvero unita. E’ nell’interesse di tutti, anche di quei Paesi che oggi si sentono più forti. D’altra parte lo schieramento dell’Unione si divide tra i 17 Paesi dell’eurozona e i dieci che conservano la loro valuta, che a volte competono con l’Euro. Mentre a difesa della moneta unica si pronuncia la Cina, il nostro grande concorrente. Caro Optimus il mondo diventa sempre più complicato».
(intercettato e trascritto da Paolo Pozzesi)
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