Non è facile dire chi sia il poliziotto oggi. Lo racconta la cronaca e poco la prossimità al cittadino; lo delineano vicende deteriori e spesso poco edificanti. Le buone nuove non fanno notizia- è vero - le peggiori, sì. Eppure, il fatto che a parlare siano soprattutto storie terribili come le violenze alla Diaz o quella contro il bambino di Padova, conteso fra i genitori, indica una condizione cui è necessario porre rimedio. Pochi uomini, poche risorse, scarsa e talvolta inadeguata presenza sul territorio e le forze dell’ordine, invece di essere strumento della collettività, si trasformano – almeno nella percezione - in qualcosa di distante, ignoto, se non addirittura molesto. E la politica – anche quella dei ‘tecnici’ – fa poco per colmare il divario, indugiando invece nel risparmio, a scapito di sicurezza e dignità del lavoro. Non stupisce, quindi, che la Spending review – o revisione di spesa – tagli 18mila operatori del comparto entro il 2015 (5mila solo in Polizia) se si considera che 30mila risorse sono già state sottratte negli ultimi tre anni. Le misure volute dal Governo Monti, infatti, se da un lato eliminano le Province – sulla cui utilità si è a lungo discusso – dall’altra rischiano di far saltare anche tante prefetture e questure: preziose nella tutela del territorio, tanto più in zone ad alta densità criminale. Ma ad aggravare la situazione c’è il blocco del turnover con un solo agente o carabiniere assunto ogni cinque in pensione. Se ciò non bastasse, la riforma delle pensioni voluta dal ministro Elsa Fornero completa un quadro poco incoraggiante vista l’equiparazione tra forze dell’ordine e dipendenti del pubblico impiego con una logica che, francamente, sfugge a qualsiasi comprensione accomunando due categorie che hanno poco a che spartire. Ed è naturale che gli operatori di Ps abbiano preso a contestare lo schema per cui, a partire dal 2013, si andrà in pensione a 66 anni e più. Ve lo immaginate un poliziotto in là con l’età alle prese con un inseguimento? Ecco, forse ci riesce giusto la titolare del dicastero del Lavoro. Con queste premesse, l’autunno si preannuncia caldo tra mobilitazioni e proteste e, per tale ragione, ospitiamo le considerazioni del Silp Cgil, per valutare le scelte del Governo e individuare le ricadute in un settore compromesso dai tagli del precedente Esecutivo che aveva ridotto di 3 miliardi gli stanziamenti al comparto, con la Polizia già sotto di 11mila agenti. In questo contesto, si apre, per Polizia e Democrazia, un nuovo corso di cui assumo la guida. Raccogliere l’eredità del suo fondatore – Franco Fedeli – e dei direttori che l’hanno seguito – Paolo Andruccioli e Paolo Pozzesi - è cosa complessa ma nelle intenzioni c’è la volontà di riscoprire le radici profonde di questa esperienza editoriale. Chi ha avuto la fortuna di conoscere Fedeli racconta di un uomo animato da umanità e tenacia che gli consentirono di far dialogare poliziotti e operai della Fiom che all’epoca si fronteggiavano nelle piazze; e non in maniera pacifica. Oggi il quadro è cambiato e forse l’ostilità verso le forze dell’ordine è persino cresciuta. Così, è quanto mai necessario tornare al dialogo e trasformare la rivista in un catalizzatore di esperienze: dalle denunce dei cittadini al riconoscimento dei meriti dei lavoratori di Ps; dalle storie quotidiane di donne e uomini in divisa al racconto di coloro che interagiscono con le forze dell’ordine. Polizia e Democrazia è una rivista indipendente. Non è organo di Corpi di polizia e non è collegata con ministeri o enti pubblici, ragion per cui avremo la libertà di affrontare temi di importanza collettiva non dovendo render conto a nessuno, se non a noi stessi. Parleremo di sicurezza, giustizia, ambiente, finanza, immigrazione ma anche questioni di genere, nel solco dell’esperienza precedente e con occhio rivolto al futuro. E l’indirizzo email direttore@poliziaedemocrazia.it sarà sempre attivo e disponibile a ricevere segnalazioni e contributi. Meno di trent’anni fa, nel cuore della periferia romana, prendeva corpo una vicenda che parla di condivisione. Quella condivisione che oggi la Polizia dovrebbe riscoprire se non vuole tornare – almeno nella percezione collettiva – a prima della Riforma, gettando alle ortiche quel valore assoluto e dirompente che è stata la democratizzazione del Corpo e che, alla fine degli anni Settanta, ha portato molti poliziotti a sollevarsi per ottenere un sindacato e il diritto a manifestare stimolando di fatto il dialogo tra Istituzioni e cittadini. Era il 22 aprile 1984 quando una cinquantina di persone venivano arrestate per detenzione e spaccio di stupefacenti, col sequestro di oltre tremila dosi di eroina. Erano gli anni in cui i tossicodipendenti si bucavano per strada, di giorno, nei giardinetti, fuori dalle scuole. Accadeva nel popoloso quartiere di Primavalle e fu lì che la polizia si alleò con le madri – note poi come ‘madri coraggio’ – per combattere la spirale che aveva inghiottito i figli. Quelle donne si riunirono in comitato e un intero quartiere si mobilitò in loro favore, facendo perno intorno al commissariato. Storie come questa sono il segno della prossimità cui facevamo riferimento. E’ necessario raccontarle e porre un freno alla deriva che ha travolto la Polizia coi fatti di Genova e che ha mostrato il volto deteriore della divisa, per molti il fallimento del progetto sprigionato dalla legge di Riforma 121 del 26 aprile 1981. Una legge «epocale» – scriveva Paolo Pozzesi diversi numeri fa – una legge che, sebbene in parte disattesa, ha cambiato il volto della pubblica sicurezza, nonostante l’ostracismo di molti: dentro e fuori la Polizia. Chiederemo a quei lavoratori e lavoratrici di ricostruire con noi quel pezzo di storia, ora più che mai attuale, perché la memoria è già un tassello del presente. “Insieme per essere più sicuri” – recitava lo slogan della Festa per i 159 anni della Polizia – e solo la cronaca sa quanto sia necessario oggi. La sicurezza si basa sulla collaborazione Stato/cittadini, come anche la lotta all’illegalità e al crimine. In questo numero, un’ampia sezione sarà quindi dedicata ai temi della legalità e dei diritti con la testimonianza, preziosa, dell’Osservatorio sociale Salvatore Aversa nel ventennale della morte del sovrintendente capo di Ps ucciso con la moglie dalla ‘Ndrangheta perché stava indagando su questa organizzazione criminale. Un’iniziativa, quella dell’Osservatorio, nata dal contributo di Cgil nazionale, Cgil Calabria, Lombardia e Silp nazionale con lo scopo di trasmettere l’insegnamento di Aversa. Un uomo che, con le parole del segretario generale Silp, Claudio Giardullo, «è stato il simbolo - insieme a altri eroici agenti e funzionari - di una Polizia competente e impegnata a difendere la collettività contro ogni forma di sopruso. Aversa era un investigatore esperto e capace. Conosceva i rischi che stava correndo. Eppure non ha riposto i fascicoli nel cassetto. La `Ndrangheta – ricorda Giardullo - ha accresciuto notevolmente il suo volume d’affari e si è radicata nel tessuto economico e sociale tanto che in Calabria si registra il maggior numero di attentati in Italia contro amministratori locali e giornalisti». La lotta alle mafie merita tutta la nostra attenzione perché un Paese in cui sicurezza e legalità vacillano è un Paese in cui la democrazia viene meno. Sta ai cittadini conservare i presidi di democrazia e alle istituzioni vigilarli e proteggerli in un percorso condiviso fatto di fiducia reciproca.
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