Nel giardino della Biblioteca San Giorgio di Pistoia crescono oltre cento rose. Tante, quante le donne uccise quest’anno. Da un uomo. Un congiunto. Solo in Italia.
Dopo decenni di ‘delitti passionali’, ‘raptus’ e ‘drammi della gelosia’, s’inizia a parlare – più correttamente - di ‘femminicidi’: omicidi di donne, in quanto donne. Persone che perdono la vita perché rifiutano chi pretende di possederle: siano essi mariti, fidanzati, ex o padri. La prima causa di morte al mondo tra i 16 e i 44 anni. Più dei militari in luoghi di conflitto.
La campagna messicana «Non una di più» chiede verità e giustizia per le giovani uccise a Ciudad Juárez ed è grazie ad essa se il femminicidio è stato riconosciuto dal loro ordinamento e il temine ha preso a fare il giro del mondo. Là, nello Stato di Chiuaua, oltre 650 giovani sono state assassinate dal ’92; 4.500, scomparse.
E in Italia? Si continua a parlare di emergenza quando la violenza di genere è antica, sistemica, drammaticamente costante; tutt’altro che un’eccezione. Lo sostengono gli ospiti di questo numero, tra questi, Riccardo Iacona - giornalista Rai e autore di ‘Se questi sono gli uomini’ (edizioni Chiarelettere) – che ha parlato degli aggressori come di «‘resistenti’, la falange armata di quelli che pensano che le donne non abbiano libertà di scelta, né possibilità di decidere con chi stare».
Se consideriamo che le uccisioni maturano in un Paese che ha abrogato il delitto d’onore solo nell’81, c’è da chiedersi: resta forse qualche strascico nella nostra cultura? «Non basta il colpo di penna di un legislatore per modificare delle realtà radicate» - dice Antonella Massaro, ricercatore confermato di Diritto penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi ‘Roma Tre – e questo è vero, come lo è però che la ‘194’, anticipando i costumi, scongiurò la morte a tante donne che sarebbero ricorse ad aborti clandestini.
Per il ministro Paola Severino: «Il problema è la cultura degli uomini». Ma è così? Basta uno sforzo culturale? Nel ’73, Elena Gianini Belotti, in ‘Dalla parte delle bambine’, sosteneva che il sessismo fosse istillato già dalla culla. Ad oggi, cosa è cambiato? Quelle parole sono cadute, lettera morta.
È giusto, però, ricordare che ora uno strumento nuovo c’è ed è la legge contro lo stalking. Prevede pene da 6 mesi a quattro anni di carcere. Una norma che ha raccolto plausi ma anche scatenato polemiche per via della procedibilità che è per querela di parte, salvo nei casi in cui le vittime siano minori o disabili. Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, ha infatti affermato: «occorre cambiare la legge, facendone un reato perseguibile di ufficio, in modo che non solo la vittima, ma chiunque sia informato della violenza possa presentare denuncia. Chi subisce un abuso è spesso ricattato e non sporge querela. E’ necessario dare la possibilità alla Polizia di intervenire alla prima aggressione e senza bisogno della reiterazione di atti contro le donne».
Quali strumenti hanno le Forze dell’ordine? Su questo numero, Gianpaolo Trevisi, direttore della Scuola Allievi Agenti di Ps di Peschiera del Garda e Liuba del Carlo, a capo della Scuola Interregionale di Polizia Locale, istituita dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Toscana.
Contro il femminicidio, in molte si sono attivate. Giulia Bongiorno (Fli) e Mara Carfagna (Pdl) hanno chiesto, in una proposta di legge, la pena dell’ergastolo. «Non chiamateli raptus di follia – ha detto Bongiorno, presidente della Commissione giustizia della Camera – mi rendo conto che se li consideriamo gesti folli siamo tutti più tranquilli, ma non è così. Questa violenza nasce da un atteggiamento discriminatorio da parte degli uomini: c’è un diffuso maschilismo, taluni pensano di aver diritto a decidere della vita delle donne».
L’onorevole Rosa Villecco Calipari (Pd) ha invece promosso un’interpellanza sul tema chiedendo al governo dati e cosa stia facendo per contrastare la violenza contro le donne, mentre la senatrice Anna Serafini (Pd) ha presentato un disegno di legge dal titolo “Norme per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio”. Per Anna Finocchiaro, presidente delle senatrici democratiche, «il femminicidio che vede le donne vittime di mariti, compagni, fratelli, amanti ed ex, ha profonde cause culturali che vanno contrastate non solo con il diritto penale, ma attraverso la prevenzione, il sostegno ai centri antiviolenza, la promozione di una cultura del rispetto del corpo femminile, il riconoscimento del reale valore e del ruolo che le donne hanno già assunto nella società».
Comunque, al di là di come la si pensi su prevenzione e punizione, è necessario cominciare con l’investire sull’esistente: l’attuale legge sullo stalking - non finanziata e quindi solo parzialmente efficace – andrebbe ripresa in mano. Prevede il supporto alla rete dei centri antiviolenza ma, senza impegno economico, è impossibile. E sul piano della giustizia, sarebbe opportuno velocizzare i procedimenti penali per scongiurare la prescrizione.
Per Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia giuridica e investigativa a Caserta, presso la facoltà di Psicologia della Seconda università degli studi di Napoli, «oltre che dire alle donne chiedete aiuto, chiamate l’1522, il numero verde dei centri antiviolenza, che mettono in rete i vari servizi (Tribunali, Forze dell’ordine, aiuto psicologico…) ma che danno anche la possibilità alla donna di entrare in contatto con quelle che sono le sue difficoltà, bisogna aiutarle a riconoscere che quello che subiscono non è un episodio ma una situazione di violenza, che come tale va chiamata e non giustificata»
Al Parlamento resta il compito fondamentale: superare gli schieramenti e assumere la responsabilità del cambiamento. La cultura non si cambierà solo con leggi, ma – di sicuro - possono aiutarla.
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