Una valigia, Ceuta e Adou. Detta così, è l’inizio di una favola, se non fosse una storia vera. Quella d’un bambino ivoriano di otto anni che pur di raggiungere la mamma ha provato a entrare clandestinamente a Ceuta, enclave spagnola nel Nord Africa. Accompagnato da una donna marocchina, che sarebbe stata incaricata dal padre di fargli passare la frontiera, è stato scovato dalla Polizia, rannicchiato dentro un trolley. La sua immagine, fermata ai raggi X, ha fatto il giro del mondo dando un volto e una storia all’esodo di migranti in corso. Non sono bastati i 366 che hanno perso la vita nel naufragio dell’ottobre 2013, né i 700 morti in mare dell’aprile scorso.
E’ la storia del piccolo Adou Ouattara ad aver fatto breccia, magari per poco, soprattutto col tam tam di Internet, raccontando che dietro sbarchi e diaspore ci sono individui, talvolta bambini. Soli, non accompagnati. Pronti ad affrontare mari e terra in cerca di un adulto che li attenda o semplicemente spinti da una famiglia che sa come nei luoghi d’origine non ci sia futuro.
E’ a loro che abbiamo pensato nelle ore immediatamente successive agli accordi sull’Agenda europea per l’Immigrazione, immaginando un’Europa più solidale che si prenda la briga non solo di accogliere, ma di integrare.
Quel che è chiaro è che in questa partita sul futuro delle migrazioni, l’Italia giocherà un ruolo importante, dal momento che sarà pur sempre sulle nostre coste che continueranno a sbarcare esuli in cerca di soccorso. Per tale ragione, il nostro Paese sarà esonerato da ulteriori quote d’accoglienza (20mila persone l’anno nell’intera Ue), cosa che spetterà invece al resto dei membri dell’Unione. Ciò, in ragione del forte impegno riconosciuto all’Italia negli ultimi anni. Tra i temi in agenda, anche gli aiuti ai Paesi di origine, controlli navali in acque libiche – da dove oggi partono i barconi – e missioni mirate contro i trafficanti di esseri umani.
Un passo avanti, senza dubbio, quello impresso dall’Ue ma ora c’è da capire come il piano sia strutturato, quale sarà la risposta in termini di accoglienza dei vari Paesi e se i fondi messi in campo saranno sufficienti. In base all’agenda, l’attuale operazione Triton – di pattugliamento delle frontiere sotto la guida di Frontex, l’agenzia europea di controllo – finirà per somigliare un po’ di più alla vecchia Mare Nostrum: la missione italiana di soccorso in mare. Un cambio non da poco se si pensa che la vita umana torna al centro dell’attenzione. La vita umana piuttosto che la tutela dei confini.
In tutto ciò, per i minori, c’è forse qualche novità? In Italia, è bene ricordarlo, quelli non accompagnati hanno diritto a restare per il semplice fatto che sono minorenni. Il che ci distingue dagli altri Paesi europei che invece accolgono soltanto minori che chiedono la protezione internazionale.
Eppure, ci dice Viviana Valastro - responsabile Programma minori migranti di Save the Children – se è vero che «la nostra normativa è avanzata dal punto di vista della tutela, della protezione; non lo è altrettanto sul piano dell'accoglienza poiché una grossa lacuna del nostro sistema è appunto la mancanza di una realtà condivisa a livello nazionale, coi Comuni che si fanno carico di individuare un posto per questi giovani». Obiettivo imprescindibile – aggiunge - «sarà riuscire a rendere europea l'accoglienza di questi ragazzi». Preoccupante, però, il numero individuato di 20mila persone per i reinsediamenti che potrebbe non essere sufficiente (20mila in un Continente di 500milioni di persone!) alla luce dei numeri degli arrivi fino al 10 maggio – sono sbarcate più di 32mila persone, di cui quasi 3mila (2.885) minori. Numeri impressionanti se si considera che sono circa 2mila quelli che hanno viaggiato da soli, ossia senza alcun punto di riferimento.
«Coloro che abbiamo incontrato con gli ultimi sbarchi in frontiera sud – prosegue Valastro - erano estremamente provati. Si trattava soprattutto di giovani eritrei, somali ma anche ghambiani che raccontavano di una situazione in Libia veramente molto violenta; una violenza di tipo gratuito: venivano picchiati senza ragione. Il che accade anche al momento dell'imbarco: ecco perché arrivano scossi. I somali giunti di recente ad Augusta avevano inoltre problemi di carattere sanitario legati a una permanenza in luoghi chiusi, carenza di condizioni igieniche ma anche di cibo e acqua».
Così, al debutto della bella stagione, con gli sbarchi presumibilmente in aumento, si fa fatica ad affidarsi solo alle intenzioni, seppure unitariamente europee. «Ho più ombre che luci» – ci confida il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini – e fatichiamo, francamente, a darle torto concordando con lei anche quando dice «dobbiamo riconoscere che è rivoluzionario il fatto che l’Europa si sia seduta a riflettere e a ragionare su questo tema, come Europa. I toni militareschi per la lotta alla tratta di esseri umani spero però siano solo propagandistici, stante anche il clima elettorale che si respira in diversi Paesi, perché la stessa Comunità europea ha sfornato molti documenti su come debba esser fatta la lotta alla tratta di esseri umani privilegiando l’intelligence, l’azione giudiziaria, mentre è assolutamente da escludere quella militare. Non è un approccio utile né efficace, addirittura dannoso».
E’ evidente, quindi, come nessuno abbia in mano la soluzione perché stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone che fuggono da contesti di guerra. Eppure, come ha ricordato in più occasioni Oliviero Forti, responsabile immigrazione Caritas: «Solo agendo sulle cause possiamo sperare di disincentivare questi flussi. Se non ci mettiamo nelle condizioni di far giungere legalmente queste persone in Europa, le consegneremo sempre in mano ai trafficanti».
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