“L’immagine che abbiamo di Aldo Moro è quella di un prigioniero con la barba lunga, i capelli spettinati, lo sguardo fisso e la camicia sbottonata. E’ un’immagine ma anche un contenuto, perché fissa nella memoria del Paese un momento tragico della sua storia”. Si apre così il recente libro di Pino Nazio, giornalista, inviato e autore Rai, Aldo Moro. La guerra fredda in Italia (Ponte Sisto edizioni, 2018, pp. 203, € 12) con la descrizione fatta da David Sassoli nella prefazione di un’istantanea che ha fissato per sempre nell’immaginario collettivo il volto emaciato e il corpo fragile del presidente della Democrazia Cristiana e ha assunto col tempo una forza iconica al punto da diventare il simbolo della violenza brigatista degli anni Settanta.
16 marzo 1978: “…quei cinquantacinque giorni del sequestro, con la strage degli uomini della scorta e l’assassinio del prigioniero, fissano un prima e un dopo - continua David Sassoli - nella storia della Repubblica. Eravamo a trentacinque anni dalla fine del fascismo…e a contrassegnare il prima e il dopo sono la presenza e l’assenza di Aldo Moro…”
Davvero il caso Moro segna un prima e un dopo e, forse, in questa cesura netta risiede la fine della prima Repubblica. Forse nasce proprio in quegli anni la profonda crisi politica in cui versa l’Italia di oggi, con quella vicenda cominciata con l’agguato di via Fani e terminata col ritrovamento di quel corpo senza vita a metà strada tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù, proprio vicino al centro Studi Americani, un particolare quest’ultimo che spesso nei resoconti della cronaca di quei giorni non viene mai ricordato e che, tuttavia, forse, nella macabra simbologia dei terroristi non fu una scelta casuale.
Il merito maggiore del libro è, forse, quello di costringere il lettore a riflettere su un evento cruciale della storia nazionale recente ma anche quello di ricostruire lo scenario del nostro paese, dalla fine della seconda guerra mondiale all’Italia del dopo Moro. Il volume è diviso in tre parti: La guerra civile a bassa intensità, Da via Fani a via Caetani, L’Italia del dopo Moro. Tra gli episodi raccontati ne ricordiamo due perché ci fanno capire che non solo quegli anni di piombo e di passione furono caratterizzati da una guerra a bassa intensità ma che probabilmente la politica di Moro non era vista con favore a livello generale: 3 agosto 1974, Aldo Moro ministro degli Esteri va alla stazione Termini per raggiungere la famiglia in vacanza al nord e sale sul treno Roma-Monaco, conosciuto come Italicus. E’ già a bordo quando alcuni funzionari del ministero lo fanno scendere. Durante la notte, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, una bomba esplode a bordo dell’Italicus. E’ la seconda volta che Aldo Moro sfugge alla morte dopo la vicenda del piano Solo.
Ad un altro attentato era sfuggito l’anno prima Enrico Berlinguer che, di fronte alla strategia della tensione e dopo i fatti del Cile che portarono alla morte di Salvador Allende, stava elaborando il compromesso storico, un’apertura ai cattolici ma anche una precisa linea politica che avrebbe dovuto portare ad una collaborazione di governo tra il PCI e la DC.
Nell’ottobre del 1973 Berlinguer si trova a Sòfia. Al termine di un colloquio burrascoso con i dirigenti comunisti bulgari la sua auto viene investita da un camion militare che la fa finire fuori strada. Il segretario del PCI si salva per miracolo. Quando rientra a Roma rivela solo a pochi fidati dirigenti che hanno tentato di ammazzarlo.
Moro non è stato protetto con una macchina blindata. Perché? Durante il rapimento si sono attivate mafia, camorra, ‘ndrangheta, Banda della Magliana e servizi segreti. Perché? Sono sparite le borse di Moro, sono sparite le foto scattate in via Fani e le registrazioni degli interrogatori del Presidente. Perché? E’ lecito ipotizzare che il presidente della Democrazia Cristiana, forse, fu una pedina sul grande scacchiere internazionale attraverso cui si giocò, in parte, la guerra fredda in Italia.
|