La tragica morte di Giulio Regeni sta portando alla luce una galassia, figlia di una serie di scelte scellerate delle grandi potenze mondiali. Giulio è stato rapito, torturato ed ucciso. Lo hanno fatto fuori, perché voleva dire al mondo, grazie ai suoi studi e ricerche per l’Università, cosa è davvero l’Egitto dominato dal generale al-Sisi. Come Giulio, in Egitto sono già morte centinaia di persone, tra chi lottava per le libertà civili o chi per i Fratelli Musulmani, in breve: gli oppositori politici. Cosa c’entri la tragedia del dottorando italiano con la scelleratezza delle potenze mondiali è presto detto. Con la divisione del Medioriente, secondo la ripartizione di Sykes-Picot, Francia e Inghilterra hanno ottenuto grandi profitti a cui si sono aggiunti nel tempo quelli Russi ed Americani. Il Medioriente e la sistemazione politica della penisola Arabica sono un’invenzione di chi si è spartito l’ex impero Ottomano e per mantenere le giuste entrature, non ha esitato nel fare affari con i dittatori. Oil is business and business is business. Nel corso di 100 anni però i rapporti sono cambiati, si sono affacciate potenze regionali, costruitesi grazie al consumo di petrolio e queste potenze, gestite da tiranni, non sono di sicuro paladine dei diritti umani e non gradiscono affatto chiunque glielo faccia notare. Il rispetto dei diritti umani però (al pari della legge) si impone con i nemici e si interpreta per gli amici. Solo rileggendo in questa chiave la strategia geopolitica degli ultimi 100 anni, si può capire come mai l’Europa e gli Usa vendano armi all’Arabia Saudita e bombardino la Siria. Ci si tura il naso quando in Arabia Saudita, i gay vengono imprigionati o le adultere lapidate, anzi, ad un Paese così probo si affida la Commissione dei Diritti umani del Palazzo di Vetro (che fu anche della Libia) mentre non c’è pietà per la violazione di quegli stessi diritti (spesso in forma minore) dei Paesi non amici. Gli annunci, le buone intenzioni, sono sempre subordinate all’amico o al momento politico, una volta si chiamava real politik. Non ci sono altre spiegazioni al motivo per il quale si sia fatta una guerra contro l’Iraq, per il presunto possesso delle armi di distruzione di massa, e non si sia fatta nel momento in cui, quelle armi furono davvero usate da Saddam contro i curdi.
In Medioriente si sta giocando una partita a 4; Usa, Russia, Inghilterra e Francia, che tentano di mantenere dei privilegi che gli vengono concessi dalle potenze emergenti: Egitto, Siria, Iran, Turchia, Arabia Saudita e Qatar. E’ un gioco di posizioni e di interessi in cui Daish (Islamic State) gioca il ruolo del cattivo, lo spauracchio che tutti vogliono abbattere ma tutti usano per distruggere altro. I Sauditi e i Qatarioti sovvenzionano Daish in funzione anti-sciita, gli Iraniani lo combattono per tentare di predominare in quelle zone siriane ed irachene che gli sono tradizionalmente amiche, perché abitate da correligionari o quasi (sciiti iracheni ed alawiti), i turchi ne approfittano per comprare petrolio a basso prezzo e per bombardare i curdi, la Siria di Assad cerca di sopravvivere e chiede l’intervento dell’amico storico russo. Europa e Usa aiutano gli Stati (Arabia Saudita, Qatar) che, anche se non ufficialmente, aiutano Daish di cui formalmente sono nemici. Rimangono fuori i cinesi, che stanno letteralmente comprando l’Africa e la povera gente. Già, la povera gente: i curdi che cercano una terra che gli era stata promessa già dal 1915 e che gli è stata scippata da “esigenze diverse”, e quelli che vivono tutti i giorni sotto i bombardamenti o nella povertà assoluta. I poveri sono tra l’incudine dei terroristi ed il martello dei tiranni. Se domani si dovesse votare democraticamente e liberamente nei Paesi musulmani, vincerebbero, ove sono presenti, i fratelli musulmani. Quei “Fratelli Musulmani” del Presidente Mursi che, dopo aver vinto delle (più o meno) libere elezioni sono stati contestati dalla piazza, formata dai vecchi sostenitori del passato dittatore Mubarak e da chi cercava più libertà. Tre anime diverse, ribattezzate “primavera araba” che sono state annichilite dal colpo di stato militare (confermato poi con le classiche elezioni all’egiziana) del generale al-Sisi. Spazzate via grazie alle purghe degli sgherri del generale, in Egitto chi dissente non ha vita facile.
Se oggi si dovesse andare a libere elezioni si rischierebbe la vittoria di chi non piace ai grandi della terra e allora si chiude un occhio. Storicamente, finché i dittatori hanno prosperato non ci sono stati problemi, il lavoro sporco lo facevano loro e l’Occidente poteva avere l’indispensabile petrolio. Perché alla fine tutto gira intorno al petrolio.
Il problema è che i Paesi “pupari” ultimamente hanno fatto male i conti, gestendo male, ad esempio, la ricostruzione dell’Iraq: non è stata la guerra a dare manforte ad al-Qaida - Iraq e poi al’Isis, ma la scellerata scelta di Bremer, ex-plenipotenziario Usa, di licenziare tutti i dipendenti iscritti al partito Baath. Come non ci si è resi conto che Gheddafi era quello che manteneva la Libia, lo faceva al costo del massacro degli oppositori, che è nulla in confronto ai morti e alla situazione attuali. Ora il nemico è Assad, sostenuto da Putin, che però è nemico del Daish, che è nemico degli oppositori del Presidente, sostenuti dagli Usa. In mezzo i profughi che scappano dalla guerra e vengono “rimbalzati” dalla Grecia alla Turchia, che viene remunerata per farsi carico degli stessi, dall'Ue. C’è tutto un giro di interessi stranieri e locali che ruotano intorno all’attuale situazione politica mediorientale, fatta di trame, sotterfugi, di dittatori e di violenze. In Egitto c’è andato di mezzo un giovane italiano che nella vita voleva fare il professore e per farlo, doveva gravitare in posti a rischio, per avere cognizione di cosa è realmente la politica sul campo. Il governo italiano ha fatto sapere che attuerà “misure” nei confronti dell’Egitto se non si saprà “la verità” sul dottorando italiano, non si può che immaginare il terrore di al-Sisi dopo tutto quello che abbiamo messo in campo con l'India per portare a casa i Marò.
Se davvero si vuole la verità su Giulio Regeni, dobbiamo iniziare a pensare che sia nascosta tra le pieghe del nostro maledetto bisogno di petrolio.
Leandro Abeille
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