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Febbraio-Marzo/2018 - Panorama sindacale
Notizie sindacalli
Carceri, nota shock del Ministero Interrompere l’erogazione dell’acqua nelle ore notturne Detenuti e agenti si attrezzino con recipienti e borracce
di Donato Capece Sergretario generale Sappe

Nota shock del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione, Santi Consolo, che ha disposto, a causa delle ‘patologiche’ dispersioni idriche, la chiusura notturna dell’erogazione dell’acqua dalle ore 23,00 alle ore 5,30 nelle carceri dove i consumi quotidiani “risultino superiori a 0,5 mc per detenuto presente”. Ennesima disposizione cervellotica del Dap.
Credevo fosse uno scherzo, invece è tutto vero. La disposizione precisa che laddove fosse disposta detta limitazione, ogni detenuto dovrà essere fornito di 20/25 litri di acqua potabile, “da utilizzare come riserva idrica individuale per il suddetto arco orario”. A nostro parere la scelta operata dall’Amministrazione Penitenziaria risulta inadeguata e improduttiva e anzi lascia sconcertati il dato fornito dei consumi (spreco) di acqua nelle carceri del Paese. Infatti a fronte di un consumo giornaliero medio pro-capite di 241 litri per abitante italiano, si apprende che in alcune carceri si supererebbero addirittura i 500 litri di consumo medio giornaliero, quindi ben oltre il doppio. Per di più, somministrare 20/25 litri di acqua per ristretto, durante le ore di sonno, quando il consumo di acqua, quindi, dovrebbe essere vicino allo zero, rischierebbe di essere un ulteriore e grave sperpero di risorse idriche. Inoltre, l’interruzione andrebbe a creare ulteriori disagi a chi, invece, di notte anziché dormire, lavora e ha necessità di bere e di usufruire dignitosamente dei servizi igienico-sanitari, ossia gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, ragione per cui abbiamo chiesto ai vertici del Dap Consolo e Del Gaudio se l’intendimento del ministero della Giustizia sia quello di distribuire 20/25 litri di acqua anche agli operatori del Corpo, e non, che effettuano il servizio notturno nelle sedi interessate.
Il sistema delle carceri non regge più, è farraginoso. E’ vero quel che ha detto durante la consueta conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio Gentiloni, ossia che avere un sistema carcerario più moderno e più umano aiuta la sicurezza. Ma oggi la realtà in Italia non è affatto così. Oggi, nelle 190 prigioni del Paese, sono presenti oltre 57.600 detenuti, quasi 20mila dei quali sono gli stranieri, ossia ben oltre la capienza regolamentare, e gli eventi critici tra le sbarre (atti di autolesionismo, risse, colluttazioni, ferimenti, tentati suicidi, aggressioni ai poliziotti penitenziari) si verificano quotidianamente con una spaventosa ciclicità. E la scelta di interrompere l’erogazione dell’acqua di notte potrà essere foriera di nuove tensioni.
Da tempo il Sappe denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale - visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità - il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. E ora si toglie persino l’acqua dai rubinetti di notte... E allora si comprenderà perché da tempo il Sappe dice che nelle carceri c’è ancora tanto da fare: ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo.

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