Fino ai primi anni 2000, come abbiamo spiegato
nel n.3/2011 di questa rivista, l’istituto dell’ausiliaria
causava disparità di trattamento solo nel personale
contrattualizzato delle Forze di Polizia. Ora, con l’entrata in vigore
della riforma della Dirigenza della Polizia di Stato, anche
quest’ultimo personale risulta penalizzato, nei confronti
dei pari grado ad ordinamento militare
Infatti il Decreto Legislativo n. 334 del 5 ottobre 2000 ha previsto, come è noto, il riordino dei ruoli direttivi e dirigenti del personale della Polizia di Stato. Tale norma con l’art. 13 ha stabilito nuovi limiti di età per il collocamento a riposo d’ufficio dei funzionari della Polizia di Stato, abbassando, attraverso una fase transitoria, da 65 anni a 63 per i dirigenti superiori e da 65 a 60 per i primi Dirigenti e V.Q.Agg. Con l’art. 27, poi, sono stati previsti benefici economici, da attribuire sul trattamento economico pensionistico di questo personale (dirigenti e funzionari con trattamento economico dirigenziale), già in servizio alla data del 25 giugno 1982, che raggiunge il sessantacinquesimo anno di età a partire dal 2002.
Tali benefici consistono, per il personale che cessa dal servizio con il sistema di calcolo interamente retributivo, in quattro scatti di stipendio, calcolati sullo stipendio in godimento dagli interessati all’atto della cessazione dal servizio, attribuiti in aggiunta alla pensione determinata come stabilito dall’art. 13 del D. Lgs. 30 dicembre 1992. n. 503; nonché il diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico, fino al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, sulla base degli aumenti retributivi pensionabili di qualsiasi natura concessi ai pari qualifica in attività di servizio. Nei confronti dello stesso personale, il cui trattamento sarà liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, troverà, invece, applicazione il coefficiente di trasformazione relativo al 65° anno di età, previsto dalla tabella A allegata alla medesima legge 335/95 e successivamente modificata dalla tabella A allegata alla legge 247/ 2007, (5,6200%), fermo restando il beneficio di cui all’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165”, (incremento del montante contributivo di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell’ultimo anno di servizio moltiplicata per l’aliquota di computo della pensione).
Con questa manovra e relativi benefici pensionistici, i funzionari della Polizia di Stato sarebbero stati, in un certo senso, equiparati ai colleghi delle altre Forze di Polizia ad ordinamento militare che godono dell’istituto dell’ausiliaria. Purtroppo così non è. Infatti risulta che l’INPDAP, in sede di riliquidazione della pensione di questo personale applica le disposizioni contenute nella circolare n. 756, diramata dall’ex Direzione Generale del Tesoro in data 2 maggio 1997, che prevedono l’attribuzione del trattamento più favorevole dal confronto tra l’importo del provvedimento di riliquidazione (effettuato sulla base degli aumenti retributivi pensionabili concessi ai pari qualifica in attività di servizio) e quello complessivamente in pagamento (pensione determinata all’atto della cessazione dal servizio, incrementata delle perequazioni automatiche annuali previste dalle vigenti disposizioni).
L’applicazione di questo criterio da parte dell’INPDAP annulla, quasi totalmente, il beneficio della riliquidazione della pensione, prevista per i funzionari della Polizia di Stato dal 3° comma dell’art. 27 della legge 334/2000. Infatti, anche se gli aumenti retributivi pensionabili concessi ai colleghi in attività di servizio, nel periodo intercorrente dalla data del collocamento a riposo fino al raggiungimento del 65° anno di età di questo personale, risultano superiori agli aumenti perequativi, previsti per lo stesso periodo dalla normativa vigente, raramente risulterebbero più favorevoli sul trattamento pensionistico. Questo perché la retribuzione pensionabile, ridotta alla percentuale di pensionabilità maturata dagli interessati al momento della cessazione dal servizio, viene attribuita per l’intero importo sulla quota A, di cui all’art. 7 del D. Lgs. 503/92, e valutata solo sull’ultimo mese per quanto riguarda la quota B (vedi circolare del Ministero Interni n. 333-H/N 18 del 6 marzo 1998, nonché nota Ministro del Tesoro – IGOP – n. 1004447 del 10/2/1998).
Al contrario, al personale dirigente delle Forze di Polizia ad ordinamento militare e a quello delle Forze Armate, al termine del periodo di permanenza nella posizione di ausiliaria, comunque per un periodo non inferiore a 5 anni (art. 3 comma 2 lettera B del D. Lgs. 165/97), viene riliquidato il trattamento pensionistico, sommando, alla pensione determinata al momento della cessazione dal servizio permanente effettivo, rivalutata annualmente per effetto delle perequazioni annuali, l’indennità di ausiliaria maturata nel tempo, in base alle vigenti disposizioni, nonché scatti biennali di anzianità del 2,50%, per il periodo trascorso in tale posizione, previsti dall’art. 46 della legge 10 maggio 1983, n. 212.
Sull’argomento, in verità, fino alla fine degli anni 90 si è verificata una specie di braccio di ferro tra le Forze Armate e la Corte dei Conti. L’Ufficio del Controllo della Corte, infatti, spesso ricusava il visto e la conseguente registrazione dei provvedimenti pensionistici, ritenendo che con l’attribuzione di entrambi i benefici (indennità di ausiliaria e aumenti perequativi), in sede di riliquidazione della pensione, si sarebbe venuta a determinare una duplicazione di benefici della stessa natura (adeguamento al costo della vita). Inoltre, il sistema, introduceva una grave sperequazione di trattamento tra il personale militare che fruivano dell’ausiliaria e il restante personale militare e quello delle altre Forze di Polizia ad ordinamento civile escluso dal beneficio. Un corretto sistema previdenziale, invece, dovrebbe garantire trattamenti omogenei nell’ambito di settori che presentano caratteristiche comuni per qualità e quantità di lavoro svolto. Tale sperequazione, invece, specie negli anni 80 e 90, quando la durata massima dell’ausiliaria era di 8 anni e gli aumenti contrattuali, come pure gli adeguamenti perequativi erano molto alti, ha causato differenze nell’ordine di diverse decine di migliaia delle vecchie lire. Per questo motivo le Direzioni Provinciali del Tesoro prima, e quelle dell’INPDAP dopo, emettevano provvedimenti di recupero di somme corrisposte e non dovute nel periodo di permanenza in ausiliaria.
Successivamente sulla questione è stato sollecitato l’intervento del legislatore il quale, con il comma 6 dell’art. 14 della legge 266/99, ha stabilito la cumulabilità dei due benefici economici, prevedendone, addirittura, la retroattività. Ovviamente, dopo tale intervento, la Corte dei Conti dal 1° gennaio 2000 registra regolarmente i decreti di riliquidazione di questo personale ed annulla, sebbene con “alcune perplessità”, tutti i provvedimenti di recupero di somme indebitamente riscosse nel frattempo dal personale interessato. (Vedi Deliberazione n. 75 della Sezione del Controllo I Collegio nell’adunanza del 1° giugno 2000, nonché circolare del Ministero della Difesa n. DGPM/VI/10.000/D/12-1000/468/87 del 20 novembre 2000).
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