La vicenda dell’elicottero della Guardia di Finanza scomparso in Sardegna nel 1994
«Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti, e alcuni dei paesi fornitori di queste armi sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?» (Papa Francesco, luglio 2016).
La sera del 2 marzo 1994 un elicottero della Guardia di Finanza, nome in codice Volpe 132, in volo di ricognizione costiera notturna per la repressione di traffici illeciti via mare, decollato dall’aeroporto militare di Elmas, si è inabissato nelle acque a largo di Capo Ferrato, a pochi chilometri dal poligono interforze di Salto di Quirra, portando con se i corpi, mai ritrovati, del maresciallo Gianfranco Deriu, 41 anni, e del brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni.
Un incidente, si pensò all’inizio. Ma nel 2011 la richiesta di archiviazione viene rigettata per gravissime mancanze investigative. Le accuse, a questo punto, diventano omicidio colposo plurimo e disastro aviatorio. Le analisi sui pochi pezzi dell’elicottero recuperati hanno evidenziato la presenza di combustione ed esplosivo, compatibili con l’abbattimento in volo.
La tragedia è stata ribattezzata “l’Ustica sarda”. Diversi testimoni oculari, infatti, hanno riferito di aver sentito, al momento della scomparsa dell’elicottero, un grande boato, simile ad un’esplosione, e di aver visto precipitare in acqua una sorta di palla di fuoco. Ma i contorni della vicenda non sono stati mai chiariti ufficialmente.
Al momento del presunto abbattimento, Volpe 132 aveva appena sorvolato un mercantile, Il Lucina, che poi è scomparso nel nulla. Giovanni Utzeri, uno dei testimoni, ha affermato che l’elicottero era a pochi metri da lui quando è stato abbattuto.
Molti elementi concorrono a ipotizzare che il mercantile sia la vera chiave del mistero. I testimoni riferiscono che la nave stazionava alla fonda da tre giorni e la sua linea di galleggiamento si abbassava notte dopo notte.
Inoltre Il Lucina fu successivamente coinvolto nella strage di Djen-Djen, avvenuta nel luglio dello stesso anno in Algeria, dove l’intero equipaggio fu sgozzato. I sette uomini, tutti italiani, furono ritrovati imbavagliati, con mani e piedi legati e la gola tagliata. Il tutto avvenuto su una nave ormeggiata in un porto controllato in modo capillare dai militari.
Questi i loro nomi: Salvatore Scotto di Perta, detto Luciano, comandante, 34 anni di Monte di Procida; Gerardo Esposito, direttore di macchina, 48 anni di Monte di Procida; Antonio Scotto Lavina, primo ufficiale, 49 anni, di Monte di Procida; Antonio Schiano Di Cola, secondo ufficiale, 40 anni, di Procida; Domenico Schillaci, marinaio, 24 anni, di Porto Empedocle; Andrea Maltese, marinaio, 38 anni, di Trapani; Gerardo Russo, mozzo, 27 anni, di Torre del Greco. In realtà gli uomini dell’equipaggio erano nove, ma due di loro arriveranno in ritardo all’imbarco a causa di un contrattempo, salvandosi così la vita.
Nella stiva del Lucina, insieme alle merci, vennero rinvenute 600 tonnellate di materiale non dichiarato, che secondo un articolo pubblicato nel 1997 dal quotidiano La Repubblica potrebbe riferirsi ad un carico di armi.
La scomparsa del Volpe 132 ha ispirato anche un docufilm, dal titolo “Il grano e la Volpe”, realizzato da una equipe composta dal giornalista Vincenzo Guerrizio, dal regista Raffaele Manco, dal produttore Francesco Deplano e dalla fotografa Raquel Garcia Alvarez. Si tratta di un prezioso contributo alla verità che, meglio di qualsiasi scritto, rende l’idea di quello che potrebbe essere accaduto quella sera.
Rispetto alla vicenda del Lucina, colpisce l’intervista rilasciata nel documentario da Antonino Arconte, il quale ha dichiarato che «su quella nave, quel giorno del massacro, doveva esserci anche Tano Giacomina di Oristano, un agente dei servizi segreti, nome in codice G. 65, inserito nella divisione Gladio. Ma solo per un caso, dovuto a problemi di salute, Giacomina non si imbarcò».
Amico e collega di Tano Giacomina, Arconte rivela alcuni dettagli della faccenda: «Nel 1994 io ero un ex ufficiale dell’organizzazione Gladio. Noi eravamo il cosiddetto braccio armato dei servizi che non potevano compiere missioni armati all’estero. Eravamo stati addestrati per questo e la nostra copertura era quella di macchinisti… Tano, per esempio, era Capitano, io ero di scorta, insieme ad altri, a un carico di enorme valore, si parlava di centinaia di miliardi di valore, che doveva arrivare sicuramente a destinazione.
Gli armatori non sapevano che quel traghetto in quel viaggio aveva trasportato un container che non conteneva pompe per l’agricoltura ma sistemi di puntamento missilistici della OTO Melara. Tano mi ha contattato il mese di settembre del 1994 e mi ha detto: “Ma ti sembra possibile che io dovevo essere a bordo di questa nave – mi disse il Lucina – e non ci sono stato per una questione di problemi familiari miei, e poi vengo a sapere pochi giorni dopo che tutto l’equipaggio è stato sgozzato a Djen-Djen, dove dovevo esserci anch’io? Com’è possibile che siano stati i terroristi?” Perché anch’io conosco il porto di Djen-Djen. Là dove è successo il fatto è la parte militare del porto. Che ci fa una nave che carica grano nella parte militare di un porto mercantile? È circondata da reticolato. Ci sono le camionette che girano in continuazione. E l’Algeria non era un paese democratico. Non è che la gente poteva fare quello che voleva. Zona militare era zona militare davvero. Quindi era poco credibile questa cosa. Sicuramente lui non stava andando a portare grano in Algeria. Questo lo sapeva anche lui. Non c’era bisogno che me lo diceva».
Alla luce di queste dichiarazioni, resta forte il sospetto che l’elicottero sia stato abbattuto perché testimone scomodo di un traffico illecito tra l’Africa e l’Italia. Circa una settimana dopo la tragedia, in un hangar di Oristano, viene denunciato il furto di un elicottero (gestito da una società fantasma con sede a Roma, in uno stabile del Ministero dell’Interno) tale e quale a quello precipitato, che verrà ritrovato in seguito in un deposito a Quartu Sant’Elena, quasi totalmente smontato e privo di molti pezzi. Il giornale “La Nuova Sardegna” scrisse che «molti elementi concorrono a ipotizzare uno scenario nel quale l’elicottero di Deriu e Sedda si sia trovato nel mezzo di un traffico illecito coperto».
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