La guerra l’ha conosciuta da vicino, nei suoi devastanti effetti nei corpi e nelle menti delle persone, anzi, dei “poveracci”. Perché le guerre colpiscono in particolare loro: chi le decide, non combatte; i mercenari se ne tornano a casa; politici e generali si accordano. Solo la povera gente rimane, rassegnata a una lotta quotidiana per la sopravvivenza

«Papà, cosa sono le mine? Fai le armi? Ma allora sei un assassino! Perché le devi fare proprio tu?»: quelle domande del figlio hanno, sulla mente di Fontana, lo stesso effetto che le mine producono sui corpi di chi accidentalmente le calpesta. Da quel giorno, l’ingegnere pugliese all’apice della sua carriera di produttore di armi, non sarà più la stessa persona. Un tarlo instancabile inizia a rodere le sue certezze, insinuando in lui un terribile senso di colpa. La sua coscienza è in tumulto.
Ma la deflagrazione provocata dalla curiosità di un bimbo di otto anni, che casualmente sfoglia i cataloghi con le foto delle mine, sopportando anche il peso delle continue curiosità dei compagni di scuola su questo “papà che vende le armi”, non produce soltanto morte: infatti, oltre a far “morire” il vecchio Vito Alfieri Fontana, ne fa “nascere” uno nuovo, sminatore e promotore di pace. Una rinascita nient’affatto scontata, dove, trent’anni fa come oggi, chi parla di pace viene costantemente ridicolizzato da guerrafondai che, sprofondati nel loro divano, si improvvisano esperti di strategie militari e dinamiche geopolitiche.
Ma ormai è chiaro come gli armamenti servano ad arricchire pochissime persone rispetto a quelle che uccidono o feriscono: i danni, fisici, psicologici e sociali sono incalcolabili e si trascinano per decenni. Con questa consapevolezza, Fontana decide….

di Michele Turazza