Il “decoupling”, il disaccoppiamento delle due economie mondiali più forti del globo, USA e Cina, sembrerebbe rimandato. Dopo mesi di palloni spia, di oggetti non identificati, di minacce velate e “formali” promesse distensive, sembrerebbe dunque che la rottura tra i due mondi – come in un romanzo, destinati a farsi la guerra – non sia poi così vicina.
Un passo indietro da parte degli americani? A pensarci bene non ci sarebbe nulla di strano. Lo strapotere economico della Cina ormai ha raggiunto ogni angolo del mondo, dall’Africa al Sud America, Stati Uniti compresi. Nelle loro mani non vi è solo il cuore pulsante dall’attuale economia mondiale, ma anche quella del futuro, basti pensare alle c.d. “terre rare” e allo sfruttamento di nuovi minerali, pressoché inesistenti nei paesi occidentali. Un motivo in più, aggiungerei, per puntare sulle energie rinnovabili, ma a casa “nostra” certi discorsi sono ancora troppo marginali.
Inaugurato il terzo mandato, Xi Jinping si candida sempre più ad essere l’uomo del momento, il vero protagonista di tutta questa nuova storia, capace di allungare la sua ombra su entrambe le fazioni in conflitto: da una parte, su un Biden con sempre meno mordente e con una nuova (e difficile) campagna elettorale da affrontare per la rielezione nel 2024; dall’altra, su “sua maestà” Putin, che rispetto al suo antagonista statunitense non rischia certamente la poltrona. Tuttavia, anche lui è destinato a perdere il suo ruolo da protagonista nel contesto internazionale. Perché anche lo “zar” russo, in sostanza, dovrà rendere conto all’indiscusso e potente “impero” cinese.
Poi c’è Taiwan, ovviamente. Può l’Isola di Formosa trasformarsi in una nuova “polveriera”? Ci auguriamo di no. La differenza con l’Ucraina è che a Taiwan lo scontro sarebbe diretto e per gli USA rappresenterebbe l’ultima chance per giocarsi una volta per tutte la tanto agognata “leadership mondiale”. Sulle acque dell’estremo Oriente, insomma, si giocherebbe una partita decisiva e qualsiasi scenario (prevedibile e non) può solo far paura.
In tutto questo “noi” (italiani, europei) dove siamo? Cosa faremo? Questa è la domanda più disarmante. Il “Vecchio Continente” sembra davvero invecchiato, messo da parte e sempre meno unito. La guerra in Ucraina non mostra segni di miglioramento ma una cosa, però, l’abbiamo compresa: tra i due litiganti, a godere non sarà di certo l’Europa.
Il mondo è abbastanza grande per evitare il disaccoppiamento tra le due economie a confronto? Lo speriamo, per la pace nel mondo stesso. La storia degli ultimi cento anni, però, ci restituisce una versione differente di queste situazioni di conflitto, ossia che il mondo è piccolo, come un pollaio, e che due galli non riusciranno mai a convivere. Stando così le cose, non resterebbe che una sola via d’uscita: un mondo e due pollai. E quanto durerà? È questa l’unica soluzione possibile?
Se l’uomo non pone fine alla guerra, la guerra porrà fine all’uomo (J.F. Kennedy)
Il direttore
Ugo Rodorigo