Le prime proteste del nascente movimento democratico dei poliziotti in Liguria, l’omaggio al maresciallo Armando Fontana. Una preziosa testimonianza di un cronista di quegli anni, Daniele La Corte, giornalista del “Corriere Mercantile” e del “Secolo XIX”
Gli anni di piombo caratterizzarono una lunga serie di eventi che sfociarono in situazioni drammatiche, ma anche in reazioni democratiche che portarono a cambiamenti radicali. Ero giovane cronista a Genova, abituale frequentatore, per motivi esclusivamente professionali, di questura e caserme. Erano gli anni Settanta, gli “anni di piombo” che stavano mettendo in ginocchio l’Italia e che vedevano la Liguria tra le regioni a più alta densità terroristica.
La strategia della tensione coinvolgeva tutti con il rischio di portare il Paese a una svolta reazionaria irreversibile. Fu in quei momenti che cominciai a percepire il crescente malumore dei poliziotti, di agenti di pubblica sicurezza e di alcuni funzionari. C’era aria di rivolta e la questura di Genova risultava essere tra le più “sorvegliate” perché al suo interno la protesta, seppure “silenziosa”, cresceva ogni giorno di più.
Si sentiva parlare sottovoce di smilitarizzazione, di voglia di democrazia e i sussurri, ben presto, divennero grida. Ricordo la prima reazione all’arrivo di nuovi giubbotti antiproiettile dal peso insopportabile e la denuncia di guardie e di alcuni funzionari al grido: «Ci mandano allo sbaraglio».
Era il 1977, un anno dopo le proteste di Padova sfociate nell’arresto del capitano Antonio Margherito. Ricordo che scrissi una pagina intera su “La Gazzetta del Lunedì” settimanale genovese del quotidiano del pomeriggio “Corriere Mercantile”. Gli articoli di denuncia fecero “botto” e l’allora questore decise di bloccare il mio accesso alla sala stampa.
Il divieto durò pochi giorni poi, almeno all’apparenza, tutto tornò normale anche se visibilmente “sopportato” perché non tra quelli che si accontentavano di qualche stralcio di “mattinale” o di comunicati stampa in puro stile burocratese. Tra quelli che, pur nell’anonimato, avevano denunciato la poca sicurezza anche di Antonio Esposito, l’eroe senza pistola, che il 28 giugno del 1978 venne trucidato dalle Brigate Rosse sull’autobus che dalla questura stava portandolo a Nervi, dove era stato trasferito nonostante avesse alle spalle una lunga esperienza antiterroristica.
Momenti difficili e tragici. Ma già dall’arresto di Margherito i poliziotti liguri avevano manifestato volontà precisa di “insurrezione democratica”. E fu così che, tra i primi, misi a fuoco come il nascente sindacato aveva forte costrutto anche e soprattutto sulla Riviera Ligure di Ponente. La certezza arrivò con l’autodenuncia del comandante della Polizia Postale di Imperia: il maresciallo Armando Fontana.
Il sottufficiale, ex celerino, si definiva pentito delle manganellate sferrate agli operai e agli studenti in sciopero, abbracciando la linea Margherito. Un fulmine a ciel sereno che vedeva così anche la provincia diventare protagonista della lotta per l’abbandono delle stellette da parte dei lavoratori della Polizia.
Da Genova a Imperia. Ricordo che alla reazione di provvedimenti disciplinari del questore e del Ministero, il maresciallo Fontana fu colpito da infarto e, proprio all’ultimo piano dell’ospedale di Imperia dove era ricoverato, riuscii a incontrarlo per un’intervista. Era la prima volta. Lui ormai era fuori pericolo, ma nonostante le raccomandazioni dei medici di non affaticarsi accettò di parlare della volontà di far nascere un sindacato dei poliziotti e di quel gruppo di “carbonari”, già al lavoro per rendere la Polizia un organo democratico al servizio dei cittadini.
Per me sono ricordi che nel quarantennale della riforma hanno un forte significato. Nel frattempo il Paese era sempre più allo sbando, dilaniato dai continui attentati e stragi che sfociarono, un anno dopo, il 16 marzo 1978, nella carneficina di via Fani e nel rapimento di Aldo Moro. Nell’occhio del ciclone finirono le scorte diventate facile bersaglio dei terroristi. E dai “carbonari” si alzò forte la voce del dissenso.
Daniele La Corte