La Corte Costituzionale dà un anno di tempo al Legislatore per riformare l’ergastolo ostativo, poi si pronuncerà definitivamente non potendo più evitare un “intervento demolitorio” della disciplina
Fine pena mai. Questo il senso della sanzione all’ergastolo prevista dal nostro codice penale. Tuttavia, lo stesso codice, prevede la possibilità per il condannato all’ergastolo – una volta scontati almeno 26 anni di pena – di accedere alla liberazione condizionale con la scarcerazione immediata e l’estinzione di quella parte di pena restante. Una parte di pena necessariamente indefinibile essendo la condanna a vita, per sua natura, senza tempo.
Nel 1991 il legislatore ha però introdotto nell’ordinamento penitenziario una norma, l’articolo 4-bis, che impone, per alcune tipologie di rei, l’esclusione dall’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento stesso. Da questa norma si fa discendere anche il cosiddetto ergastolo ostativo, che non troverebbe altrimenti una propria disciplina particolare. La combinazione tra la condanna all’ergastolo e la presenza di alcune caratteristiche criminali nel condannato, quelle appunto previste dall’articolo 4-bis che andremo subito ad elencare, fanno sì che si possa essere condannati all’ergastolo senza possibilità alcuna di revisione della sentenza, neanche una volta trascorsi 26 anni.
Andiamo per gradi. Che cos’è l’ostatività in materia penitenziaria? È la presenza di ragioni che impediscono l’accesso ai benefici previsti dalla legge, come l’assegnazione ai lavori all’esterno, i permessi premio, le misure alternative ad alcuni condannati per alcuni tipi di reati i quali non vogliano collaborare attivamente con la giustizia. L’elenco è vasto e articolato, ma si tratta principalmente di detenuti e internati ristretti per ragioni di terrorismo, nazionale o internazionale, di eversione, di associazione mafiosa, di reati contro la pubblica amministrazione. Per collaborazione con la giustizia si intende invece quel comportamento attivo che permette di evitare ulteriori conseguenze dall’azione criminale, oppure che consenta l’individuazione e l’arresto dei responsabili.
In questi casi dunque vi è un ostacolo preliminare all’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento come appunto è il caso dell’ergastolo definito dalla dottrina ostativo, che fu per la prima volta introdotto all’indomani delle stragi di mafia del 1992 per inasprire ulteriormente la già concettualmente aspra pena dell’ergastolo. L’obiettivo era, e continua a essere, quello di indurre alla collaborazione con la giustizia e scardinare l’omertà degli appartenenti ad associazioni mafiose (o terroristiche).
In Italia quanti sono gli ergastolani? «Al 31 dicembre 2020 le carceri italiane ospitavano 1.784 detenuti all’ergastolo con numeri in costante aumento. All’inizio degli anni 90 questo dato si aggirava intorno alle 400 unità». A dirlo è stata Susanna Marietti coordinatrice nazionale dell’Associazione Antigone nel corso di un’importante incontro, organizzato da Antigone stessa con due importanti ospiti, l’ex sostituto procuratore di Cassazione Ignazio Patrone e Marco Rutolo ordinario di diritto costituzionale a Roma Tre, proprio sul tema dell’ergastolo ostativo e della recente sentenza della Corte Costituzionale.
Durante l’incontro dal titolo “Ragioni della Corte e ruolo del Parlamento” dello scorso 25 maggio, Susanna Marietti ha poi spiegato come circa il 70% sul totale degli ergastolani sia al momento considerato “ostativo” e di come si tratti di numeri in preoccupante crescita negli ultimi vent’anni.
Ergastolani senza speranza. Sono gli ergastolani ostativi che, a prescindere dalla propria condotta nel corso della pena e dal percorso che possano aver fatto in almeno 26 anni di detenzione, non avendo collaborato con la giustizia, non possono sperare di uscire prima della morte dal carcere. Ma ha senso una condanna a vita? Qual è in questo caso il ruolo della detenzione, della giustizia?
Dopo 26 anni di detenzione è più che ragionevole pensare che il detenuto, salve quelle circostanze che potrebbero essere – a buona ragione – valutate da un Tribunale, intrattenga rapporti con l’organizzazione criminale o terroristica di appartenenza al momento dell’arresto o della condanna.
Carolina Antonucci