Mondo politico e vertici militari compatti nel negare un modello di sindacato militare efficace. I Cocer rimangono fino ai decreti attuativi. E il Silf promette battaglia
Se, come sosteneva Nanni Moretti, «le parole sono importanti!», è significativo constatare come nella recente legge n. 46 del 2022 (Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare) non compaia mai il termine “sindacato”, preferendo il legislatore utilizzare la lunga perifrasi “associazioni professionali a carattere sindacale” per indicare le forme associative a tutela degli interessi dei lavoratori con status militare. D’altra parte, le locuzioni “organizzazioni sindacali” e “associazioni sindacali” vengono utilizzate nell’articolo 4, ma soltanto in chiave “negativa”, ossia per indicare tutti quei sindacati a cui i militari non possono aderire né far riferimento nelle denominazioni o nei simboli delle loro “associazioni”.
Insomma, da una parte queste “associazioni professionali a carattere sindacale”, nelle quali la natura (anzi, il carattere) sindacale sembra quasi essere lì per caso, un accidente; dall’altra i sindacati. Una distinzione non contemplata in Costituzione, per la quale esistono solo quest’ultimi.
Non sono bastate pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e del Comitato Europeo dei Diritti Sociali; non è bastata la sentenza della Corte costituzionale che, ben quattro anni fa, ha dichiarato in contrasto con la Costituzione il divieto, per i militari, di costituire “associazioni professionali a carattere sindacale” (art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare). E se la Corte costituzionale non avrebbe comunque potuto sostituirsi al legislatore nel “ritoccare” la disposizione dichiarata illegittima (semplificando, non avrebbe potuto utilizzare “sindacati” in luogo della lunga perifrasi), il Parlamento avrebbe, eccome, potuto riconoscere in pieno il diritto dei lavoratori con le stellette di aderire a “sindacati”, pur “alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge”, senza però comprimere il nucleo essenziale delle libertà sindacali che devono essere riconosciute anche a chi indossa una divisa. Non l’ha fatto: un’occasione sprecata. Non si tratta però solo di mere questioni formali; è anche nella sostanza che il testo approvato ha deluso le aspettative di buona parte del mondo militare, che auspica modifiche.
Michele Turazza