Un anno fa, a Mestre, moriva di Covid-19 l’ex procuratore Francesco Saverio Pavone. Omaggio alla memoria dell’investigatore che sgominò la Mala del Brenta e visse per 17 anni sotto scorta
Ricorre il primo anniversario della scomparsa del magistrato Francesco Saverio Pavone – simbolo e memoria storica dell’antimafia veneta – deceduto per Coronavirus il 16 marzo 2020 all’ospedale dell’Angelo di Mestre (Ve) pochi giorni prima di compiere 76 anni. Di origine pugliese (nacque il 25 marzo 1944 a Taranto), Pavone – chiamato “Franco” da familiari e amici, sposato, padre di tre figlie e nonno – si era laureato in giurisprudenza all’università di Padova. Aveva intrapreso la strada del diritto perché spinto dall’esempio di alcuni magistrati amici di famiglia.
Nel 1967 superò il concorso di cancelliere a Mestre (panni nei quali seguì anche, da addetto alla Corte d’Assise di Venezia, il processo sul crack miliardario dell’agente di cambio Attilio Marzollo) e poi, nel 1978, vinse quello in Magistratura che lo portò a lavorare, per quasi tutta la sua lunga e proficua carriera, a Venezia dove ricoprì vari ruoli, da giudice istruttore (veste in cui nel 1986 avviò le indagini sulla Mala del Brenta) a sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello. Gli ultimi quattro anni in servizio, da gennaio 2013 a dicembre 2016, prima di raggiungere la pensione, li trascorse alla guida della procura di Belluno. «Per me questo lavoro è stato una passione: l’ho sempre fatto volentieri, con gioia», aveva affermato andando in quiescenza.
Determinato, inflessibile, scrupoloso, fu il nemico numero uno della banda di Felice Maniero, la mafia veneta che imperversò nel Nordest dagli anni Settanta ai Novanta. Egli riuscì a debellarla anche grazie alla collaborazione dei colleghi Antonio Fojadelli e Michele Dalla Costa e delle Forze di Polizia, in primis la Squadra Mobile di Venezia comandata da Antonio Palmosi e la Criminalpol. L’intero gruppo malavitoso capeggiato da Maniero (il quale nel 1995 – dopo l’evasione dal carcere di Padova, la condanna a 33 anni di reclusione e la cattura a Torino – iniziò a collaborare con la giustizia) venne smantellato: centinaia di persone indagate, arrestate e condannate specialmente per rapine e traffico di armi.
«Fu un’epopea della procura veneziana», ricordava con orgoglio Pavone, sottolineando che quella era una sentenza storica perché «per la prima volta la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso in una regione diversa da quelle tipiche delle mafie (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) e, soprattutto, formata da soggetti non provenienti da quelle regioni». Rammentava che quel processo, partito quasi in sordina, era stato molto impegnativo perché si trattava di operare in un ambiente molto omertoso, caratteristico di quello mafioso. Un’indagine complessa per aver dovuto comporre, come un mosaico, tutta una serie di fatti e circostanze e trovarne il filo conduttore.
Marco Scipolo