Pur consapevoli dell’eterno fascismo, tratto purtroppo identitario dell’antropologia culturale italiana, si resta comunque sorpresi dalla totale mancanza di pudore con cui vengono ostentate certe appartenenze e simbologie che ci riportano ai momenti più bui del nostro Novecento

    In Italia i fascisti sono una trascurabile maggioranza», scrisse Ennio Flaiano in uno di quei fulminanti aforismi nei quali riusciva a sintetizzare icasticamente lo Zeitgeist. Che, peraltro, nel caso del fascismo, più che come transeunte spirito del tempo, si atteggia quale caratteristica strutturale della nostra antropologia culturale, come aveva intuito un secolo fa Piero Gobetti parlando di “autobiografia della Nazione”. Lo stesso Flaiano, meglio enucleando quanto scolpito nel succitato epigramma, aggiunse che «Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta».
    Delineato il contesto dell’eterno fascismo, e preso atto col dovuto disincanto che certi tratti identitari dell’homo italicus preesistevano al regime e gli sono tranquillamente sopravvissuti, resta comunque un margine di stupore di fronte alla totale mancanza di pudore con cui certe appartenenze vengono rivendicate, con il corredo di una orribile simbologia ostentata con orgoglio e tollerata persino in ambito istituzionale, senza quei freni inibitori che, se non altro per ipocrisia e doppiezza, fino a una trentina di anni fa inducevano almeno a tenere un basso profilo.

    «Fate una decima»
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    di Francesco Moroni